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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca Agugliano

Una discarica di rifiuti pericolosi: arresti e sequestri per gli smaltimenti fantasma

Sequestri, misure cautelari e 20 indagati per i rifiuti abbandonati da anni accanto a un torrente

11mila tonnellate di rifiuti pericolosi accumulati in un capannone di Agugliano, con concentrazioni di metalli pesanti e polveri fluorescenti molto superiori ai limiti del consentito. A scoprire la discarica, avviando l’indagine denominata “RAEhELL” sono stati i carabinieri Forestali di Ancona. 20 persone risultano indagate (tra cui 5 anconetani) e per quattro di queste, residenti in provincia di Arezzo, sono scattate altrettante misure cautelari con l’accusa di associazione per delinquere e attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti speciali oltre al falso in atto pubblico. Si tratta di un 34enne agli arresti domiciliari, un 68enne e un 66enne gravati dall’obbligo di dimora e un 56enne che non potrà esercitare per un anno in società coinvolte nella lavorazione dei rifiuti. Il guadagno illecito, derivato dal mancato smaltimento, ammonta a oltre 2 milioni di euro. Per sei persone e due aziende, una di Agugliano e l’altra della provincia di Rimini, sono scattati sequestri per oltre 3milioni di euro compresi i 12 camion usati per il trasporto dei rifiuti. L’indagine, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Ancona, ha messo in luce tre fasi comprese tra il 2010 e il 2017 ed è scattata dopo un normale controllo dei Carabinieri forestali di Ancona proprio nell’azienda di Agugliano. In un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico per la presenza di un corso d’acqua, i militari hanno trovato uno stock di 11.000 tonnellate di rifiuti elettronici destinati ufficialmente allo smaltimento, ma in realtà abbandonati a loro stessi. Secondo quanto emerso, l’accumulo era iniziato molto tempo prima 

L’asse Rimini-Agugliano (2012-2016)

Secondo la procura infatti, l’azienda ha cominciato ad accatastare materiale già nel 2012 per conto di  un’ azienda di San Giovanni in Marignano, in provincia di Rimini. Quest’ultima, sprovvista di autorizzazione alla gestione dei rifiuti, ritirava gli elettrodomestici dalle abitazioni e li rivendeva alla ditta marchigiana come materiale da ricondizionare. Secondo gli investigatori però, i prezzi di vendita (nascosti da false fatturazioni)  erano maggiorati di circa il doppio del valore di mercato. Come faceva la ditta aguglianese a pagare quelle somme? Utilizzando proprio i soldi che ricevevano per smaltimenti mai effettuati. La ditta aguglianese infatti riceveva da aziende estranee all’indagine monitor e tubi catodici che doveva smaltire previa lavorazione e per i quali riceveva un compenso di 100 euro a tonnellata. Quei soldi, invece di essere usati per lo smaltimento, finivano a Rimini mentre i rifiuti (solo frantumati) restavano accumulati ad Agugliano. Il sistema, sostiene la procura, causò il fallimento della ditta marchigiana nel 2016.

Le due gestioni successive

Dopo il fallimento, la ditta di Agugliano fu rilevata da altri imprenditori in due diverse gestioni. La prima (2016-2017) accumulò altre 1.000 tonnellate di rifiuti vetrosi mentre la terza gestione (2017 in poi) è quella che ha fato capo ai quattro aretini. In quest’ultima fase, secondo quanto ricostruito dai militari, i monitor venivano distrutti in modo grossolano: in alcuni casi gli operai li avrebbero scaraventati a terra respirando polveri pericolose. Per i quattro aretini, a differenza degli altri indagati, sono scattate le misure cautelari perché gestivano l’attività al momento della scoperta.
 

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