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Cronaca

Sopravvissuto al lager di Buchenwald, la testimonianza di Gilberto Salmoni

Nel giorno della memoria, arriva ad Ancona Gilberto Salmoni per raccontare la sua incredibile esperienza, quando a 16 anni venne deportato insieme a suo fratello nel campo di concentramento di Buchenwald

Il doloroso ricordo dei giorni di prigionia nei campi di concentramento è ancora vivo nei racconti di chi è riuscito a sopravvivere allo sterminio di ebrei, zingari, omosessuali e oppositori politici del nazifascismo. Numerose le iniziative pensate nelle Marche per ricordare le vittime della Shoah nel Giorno della Memoria. Il Consiglio Regionale ha dedicato una seduta aperta alla quale hanno partecipato anche numerosi studenti delle scuole superiori della regione. Toccanti le testimonianze lasciate dagli ospiti come quella di Gilberto Salmoni, genovese Deportato insieme al fratello a Buchenwald all'età di 16 anni. La madre, il padre e la sorella furono invece deportati ad Auschwitz e da lì non fecero più ritorno.

«Il lager di Buchenwald era stato costruito per ospitare 7mila persone, invece ce n'erano 50mila. Stavamo in due in un letto, in letti a tre piani. A volte mancava l'acqua. Venivamo svegliati prestissimo, non so a che ora perché non avevamo più i nostri vestiti e quindi nemmeno l'orologio. Ci davano da mangiare un pezzettino di pane e margarina. Non si smetteva mai di lavorare, ma dopo un po' cambiavamo ritmo per la stanchezza. Quando andavamo a fare la doccia guardavamo se usciva il gas o l'acqua. Mi ricordo che arrivai dopo tre giorni di viaggio in un carro bestiame ma eravamo in pochi quindi non eravamo pigiati come la maggior parte dei trasportati.

Arrivammo di notte e ci misero in una stanza al buio. Era piena di persone, mancava l'aria, non si respirava. Finché non è venuto giorno eravamo nell'incertezza e senza speranza. Eravamo in attesa che qualcuno ci aprisse la porta e ci facesse vedere qual'era il nostro destino. Ci rasarono i capelli e ci tolsero tutto. Ci diedero un pantalone e una specie di camicia. Poi ci venne dato il numero, il triangolo e la baracca.
C'erano russi, polacchi, cechi. Era difficile dialogare, avere informazioni. Sono rimasto lì per 8 lunghi mesi. L'immagine quotidiana che avevo erano delle persone come me, che deperivano sempre più e che faticavano sempre più a lavorare ma comunque riuscivano a stare in piedi. Altri invece erano destinati a morire rapidamente. Un'altra immagine era la crudeltà delle SS. C'era molta solidarietà tra noi internati e questo ci dava forza ma nessuno pensava che sarebbe uscito vivo. Pensavamo che erano così ben organizzati che in qualche modo ci avrebbero ammazzato.

Io avevo accanto a me mio fratello di 14 anni più grande, medico. Un punto di riferimento enorme e questo mi tirava su. Una volta io e mio fratello siamo stati a lavorare per cambiare i binari della ferrovia. E' stato un lavoro massacrante perché eravamo circondati e osservati ogni istante dalle SS, non ci lasciavano un momento di respiro. Negli altri periodi lavoravamo in uno spazio grande quindi seppur con qualche rischio, diminuivamo il ritmo. Mio fratello è risucito ad avere dei contatti importanti, io non ne sapevo niente, erano tutte cose segretissime. Certamente da solo non me la sarei cavata. Della liberazione avevo avuto dei segni premonitori. A Buchenwald c'era un comitato di resistenza internazionale che ha funzionato soprattutto negli ultimi giorni quando il comandate del lager ci ha annunciato che saremmo stati trasferiti altrove perché le truppe americane si stavano avvicinando. Allora il comitato è uscito allo scoperto dicendo di cercare di ritardare il più possibile le partenze. 

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