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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca Porto

Maxi frode nei cantieri del porto: 131 milioni di euro di fatture false e 153 lavoratori irregolari

L'operazione Shipyard delle Fiamme Gialle ha portato alla luce una fitta rete di evasione e irregolarità nella cantieristica navale. Sono trenta le persone denunciate per frode fiscale, riciclaggio e auto-riciclaggio

La guardia di finanza di Ancona ha scoperto una maxi frode fiscale previdenziale e contributiva che ha coinvolto una fitta rete di imprese dislocate tra Marche, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana con interessi economici nel settore della cantieristica navale nel porto di Ancona. Le investigazioni delle Fiamme Gialle hanno permesso di individuare 153 lavoratori irregolari per i quali sono stati omessi il versamento dei contributi e delle ritenute Irpef e 131 milioni di euro di fatture false con la conseguente evasione dell’Iva per 28 milioni di euro, con 66 milioni di euro di base imponibile segnalata per il recupero a tassazione. 

VIDEO | L'operazione della Guardia di finanza di Ancona 

Il bilancio della vasta operazione è di trenta persone denunciate per frode fiscale, riciclaggio e auto-riciclaggio. Nei confronti di cinque dei quattordici imprenditori, che hanno operato nel territorio dorico, il pubblico ministero della procura dorica ha già esercitato l’azione penale e il Gup ha disposto il giudizio. Lo scorso 22 ottobre si è tenuta la seconda udienza dibattimentale in composizione collegiale. Nei confronti delle restanti persone denunciate è stata già fissata la data dell’udienza preliminare. Gli altri indagati hanno visto le loro posizioni stralciate con trasferimento del fascicolo ai Tribunali di Bologna, Monza e Prato.

L'operazione Shipyard

L’operazione “cantiere navale” è stata avviata a seguito di una specifica attività di analisi sulle numerose imprese operanti nell’ambito dell’area portuale a seguito della differente impostazione della catena produttiva della Fincantieri Spa, risultata estranea ai fatti d’indagine, con il maggiore ricorso a ditte in appalto e conseguente riduzione dell’organico dei lavoratori diretti, all’inizio delle indagini di poco superiori alle 600 unità, rispetto alle oltre 2.000 unità degli operai delle ditte appaltatrici. Tale contesto era stato oggetto negli anni scorsi anche di un tavolo tecnico tra il Prefetto di Ancona, le Autorità locali e le organizzazioni sindacali di base.

Le Fiamme Gialle della Compagnia di Ancona hanno studiato i rapporti tra i soggetti economici interessati alla specifica attività di lavorazione, oltre duecentocinquanta, indirizzando l’attenzione ai collegamenti tra “gruppi di imprese” che orbitavano negli ambienti di lavoro della cantieristica navale, nei cantieri di Ancona, Marghera, Monfalcone, Livorno, Muggiano e Sestri, nonché presso il cantiere navale di Fiume, in Croazia. 

I successivi analitici riscontri hanno consentito d’individuare, grazie al coordinamento della locale Procura della Repubblica, un redditizio sistema illecito ben architettato a tavolino.  Quest’ultimo era incentrato su un “consorzio” avente sede nella provincia di Ancona, che era in grado di presentare normalmente l’offerta più vantaggiosa, a seguito delle richieste di preventivo che la Fincantieri, di volta in volta, richiedeva a diverse imprese. Il Consorzio delegava poi l’esecuzione dei lavori alle proprie consorziate, in ragione della tipologia e del luogo di svolgimento degli stessi e provvedeva alla fatturazione al committente, sulla base dello stato avanzamento lavori (S.a.l). Nei rapporti interni, il consorzio riceveva le fatture dalle consorziate per il lavoro eseguito ed emetteva alle medesime le fatture per i servizi che forniva. Sette delle aziende consorziate che si trovavano in Abruzzo, Marche, Campania e Toscana, sono risultate, però, essere state amministrate, sulla base degli indizi emersi, da prestanome e prive di una struttura operativa, organizzativa e finanziaria, dunque mere cartiere. 

Le stesse procedevano all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per importi pari a centotrentuno milioni di euro nel corso di quattro anni, che venivano poi utilizzate da altre dodici società consorziate, che riuscivano a maturare illecitamente crediti Iva inesistenti, poi utilizzati per le compensazioni con altre imposte. In questo modo le società cartiere, dopo aver accumulato debiti per oltre 16 milioni di euro nei confronti degli enti assicurativi/previdenziali (soprattutto Inps) e dell’Erario, cessavano l’attività per essere sostituite da nuove imprese costituite ad hoc per il medesimo scopo. Alcune di queste ditte eleggevano la propria sede legale e amministrativa presso lo studio di un consulente fiscale di Scafati, segnalato ai fini della normativa antiriciclaggio, al quale veniva affidata la gestione della contabilità. La sede era, in questo modo, lontana dal luogo dove effettivamente si esercitava l’attività d’impresa, con il preciso intento di spostare la competenza dei controlli e rendere difficoltosa l’individuazione del sistema di frode posto in essere.

Attraverso un massiccio ricorso all’emissione di fatture false, grazie al vantaggio concorrenziale che derivava dall’evasione contributiva e fiscale connessa all’impiego di manodopera irregolare, gli organizzatori riuscivano a fornire le prestazioni lavorative richieste dal mercato a prezzi inferiori rispetto alla media del settore. Inoltre sono state individuate 153 posizioni irregolari tra i dipendenti per i quali non sono stati correttamente corrisposti i contributi previdenziali e assistenziali. I trenta soggetti denunciati rivestivano il ruolo di amministratori pro-tempore delle imprese coinvolte nell’illecito sistema. Nel corso delle investigazioni, sviluppate anche attraverso accertamenti bancari e intercettazioni telefoniche, sono state effettuate anche venti verifiche fiscali nei confronti di alcune delle citate imprese.

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