"Vi racconto la mia Odissea al Pronto soccorso di Ancona, ho rivalutato Pescara"
Lo ammetto. Da giornalista pubblicista ho una innata vis polemica, oltre che un acuto spirito di osservazione. Così credo che un professionista della comunicazione debba essere, ma non è di questo che voglio scrivere. Sento il dovere di raccontare la mia esperienza avuta alcuni giorni fa presso il Pronto soccorso dell'ospedale di Torrette, che prima ammiravo in maniera maniacale, non fosse altro perché presso in quel nosocomio mio padre riuscì a risolvere, attraverso un delicato intervento chirurgico, un problema cardiaco abbastanza serio. Premesso che da circa un anno mi sono trasferito nel capoluogo dorico, non senza incontrare difficoltà di ogni sorta, in una città che mi ha affascinato con i suoi 2.400 anni di storia, ma che, contestualmente, ogni giorno mi dimostra, ahimè, che non è tutto oro quello che luccica. Originario di Pescara, dove il locale ospedale viene criticato per i suoi disservizi, in seguito ad un dolore avvertito al polso con annessi ematomi, dovuti ai vari traumi subiti sul lavoro nei giorni precedenti, non avendo altre scelta, mi sono recato presso il locale Pronto soccorso marchigiano. La prima persona che ho visto è stato il triagista: personaggio che non ha certo brillato per cortesia e nemmeno per professionalità. Erano circa le 7 del mattino, non c'era nessuno in fila ed ecco che mi rivolgo all'appena menzionato, il quale, prima di accettare la mia “richiesta", mi sottopone ad una specie di interrogatorio, chiedendomi quando mi fossi fatto male, come, perché, e di fargli vedere il braccio. Il tutto con una scortesia e con un tono che definire indisponenti è volere solo edulcorare il concetto. Una volta convito del mio problema, con assoluta supponenza e scortesia come fosse un precetto, mi chiede di dargli un documento e di fornirgli i miei dati. Senza appello mi inserisce con un codice bianco. L'attesa si fa lunga, snervante, il dolore aumenta e tutte quelle ecchimosi sul braccio, all'altezza dell'arteria radiale già presenti la sera prima, mi spaventavano. Dopo 3 ore di attesa, faccio presente che forse è meglio che mi faccia visitare altrove, ma il triagista mi rassicura dicendo che presto arriverà il mio turno. Passa altro tempo, ma niente. Alla fine gli faccio presente che se fossi tornato a Pescara, con tutta quella attesa, forse mi avrebbero già visitato, ma lui mi dice di pazientare. Dopo 5 ore sono ancora lì, nessuno si è degnato ancora di darmi uno sguardo ed a quel punto decido di andare via e di farmi visitare altrove, ma il nostro simpatico eroe mi dice che non sono più in attesa. Finalmente!
Dopo 5 ore mi è possibile effettuare il mio primo accesso presso il Pronto soccorso. Entro in una specie di labirinto, dove nessuno mi accoglie ed io non so dove andare. Allora decido di provare per tentativi, fino a quando, al quarto tentativo, trovo la porta giusta. Qui ad attendermi c'è un giovanissimo dottore, pieno di buona volontà, ma evidentemente ancora acerbo. Mi chiede cosa sia successo, io gli dico che si trattano di traumi e dolori che mi porto dal giorno seguente sul lavoro e lui mi guarda il polso, cominciando una sorta di digito-pressione. La mia impressione è che non ci riesca a capire molto. Allora decide per una consulenza ortopedica, come dice lui "fast truck", sub iudice, perché mi spiega che non è detto che venga accettata. Mi reco presso il suddetto reparto e durante il mio viaggio noto due cose: l'imponenza della struttura e gli assembramenti nutriti e numerosi da parte di personale medico e paramedico nei presso delle varie aree relax presenti nel nosocomio. Forse era l'ora di pausa. Arrivato al reparto, scopro che non ancora cominciano le visite. Esce un tipo serafico e con una calma olimpica che mi chiede il nome, il cognome e mi assegna il numero 13. Davanti a me ci sono altre persone logorate dall’attesa almeno quanto me. Dopo circa 40 minuti dal mio arrivo, finalmente, si comincia con le visite. Il primo numero è il 7 e le visita non è breve. A quel punto realizzo che dopo oltre 5 ore che sono parcheggiato in quel posto, la luce in fondo al tunnel è ancora lontana ed opto per andare via, riservandomi di farmi vedere altrove. Passo dal medico che mi aveva parlato della visita "fast truck" e gli dico che intendo andare via. Prepara il foglio di dimissione ed ecco spuntare come per magia un medico anziano, il quale mi ausculta il polso, per poi sentenziare che ho una tendinite da sforzo e invita il giovane fresco di giuramento di Ippocrate ad auscultare a sua volta il mio malandato polso. Lo ammetto. In quel frangente mi sono sentito una cavia. Il siparietto, infine, si chiude con un infermiere, il quale mi benda il braccio come se mi stesse facendo un favore. Finalmente posso lasciare quel posto, che spero di non dovere mai più rivedere. Questa esperienza mi ha fatto rivalutare e di molto il Pronto soccorso di casa mia: Pescara. Osservando la realtà marchigiana ho capito di essere stato troppo perentorio con certi giudizi. In fondo, tutto il mondo è paese.
Christian