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Psicologia della notizia

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A cura di Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona

Genitori e adolescenti, un rapporto sempre in bilico

Parlare del rapporto tra genitori e figli sottintende già di per sé che si sta facendo un errore: genitori, figli, adolescenti non si fa altro che incasellare delle persone con dei vissuti e delle storie diversissime in delle categorie prestabilite. Per questa ragione mi limiterò a prendere in esame alcuni autori che ci parlano dei disagi che può incontrare un adolescente nell’affrontare il difficilissimo processo della crescita; e quali possono essere le paure di un genitore nel stargli accanto e supportarlo, indicandogli le varie vie, ma senza costringerlo a sceglierne una.

Tutte le teorie psicologiche parlano dell’importanza degli altri nella costruzione della propria identità e la Mahler ci dice che l’adolescente per superare la fase di crisi ha bisogno di stabilire rapporti extra familiari; Erikson parlando di costruzione dell’identità sottolinea l’importanza di identificarsi transitoriamente nell’insegnante, nel fidanzato, negli amici o nei genitori. L’autore con la sua teoria psicosociale da una notevole importanza al tessuto ambientale nella formazione dell’identità del ragazzo: la quinta fase di sviluppo descritta ci parla proprio della crisi adolescenziale. Si entra in una fase in cui il ragazzo sente da un lato, di voler abbandonare il mondo infantile e entrare nel mondo dell’adulto, dall’altro la paura di questo mondo nuovo, complesso e sconosciuto. E’ la percezione in negativo di sé stessi, cioè sentirsi inadeguati rispetto al mondo che crea in questo senso un ostacolo psicologico nella costruzione dell’identità: Erickson parla di identità negativa. L’adolescente non è mai all’altezza. Tuttavia secondo i vari autori questa crisi è inevitabile e non si può prescindere da essa; sia i genitori che i figli possono essere accompagnati nell’affrontarla ma non nell’evitarla.

Nella mia pratica clinica così come nella quotidianità ho imparato che lo psicoterapeuta non può giudicare, spiegare o interpretare; ma soltanto stare accanto alla sofferenza qualunque essa sia. Fin da bambini ci insegnano che in ogni favola ci deve essere un colpevole perché così possiamo distaccarci da quello e fare scelte diverse, possiamo capire che cos’è il buono e cosa il cattivo; ma nella vita poi capiamo che la difficoltà sta proprio nell’integrare in noi stessi entrambe le parti in modo da evitare l’accanimento nella ricerca di un colpevole.

Dr.ssa Stefania De Luca - Psicologa Clinica, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione, Psicologa del Centro “Oltre… a riveder le stelle”, collaboratrice di IPSE Ancona

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