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Il boato che venne dal mare, mezzo secolo fa il terremoto di Ancona

La cronistoria di quello che successe a partire dalle 21,25 del 25 gennaio 1972 ad Ancona

Era il 25 gennaio 1972 ed erano esattamente le 21, 25 minuti e 11 secondi, come riportato dai resoconti ufficiali, quando Ancona e alcuni comuni limitrofi furono colpiti da una forte scossa di terremoto: settimo grado della scala Mercalli, come si misurava all'epoca, preceduta da un forte boato che proveniva dal mare.La città finì in un vero e proprio incubo che durò undici mesi. Fu il terremoto più forte e più lungo della storia del capoluogo. Molti quella sera scesero in strada, in gran parte inconsapevoli di quello che stava accadendo. Solo i più anziani ricordavano infatti il sisma precedente, quello del 1930. Con il passare delle ore tutti presero però coscienza del fatto che si trattava di un terremoto, un sisma che, appunto, avrebbe accompagnato per molti mesi la vita degli anconetani, con una serie di scosse, le più potenti delle quali si verificarono di notte. Lo sciame sismico ebbe il suo culmine il 14 giugno: una scossa di 15 secondi al decimo grado della scala Mercalli mise definitivamente in ginocchio la città. In mezzo a questi due eventi centinaia di scosse investirono Ancona. Tra il 3 e il 4 febbraio 1972, altra data fissa nella memoria di molti abitanti del capoluogo marchigiano, il terremoto raggiunse la magnitudo di 4.4.

Non ci furono vittime provocate dal sisma. Pochi persero la vita per lo spavento e un vigile del fuoco ausiliario proveniente dal comando di Bologna morì in un incidente stradale mentre era impegnato nelle operazioni di sgombero del vecchio ospedale psichiatrico.Gran parte del patrimonio edilizio e in particolare il centro storico di Ancona e i quartieri più antichi furono gravemente lesionati, con danni ingenti. Risultarono inagibili 7 mila edifici, tra cui molte scuole, edifici pubblici, le Poste centrali di piazza XXIV Maggio, il Museo archeologico nazionale, Palazzo degli Anziani e molte chiese. Danni, anche se meno pesanti, si registrarono anche nei comuni limitrofi.

Fu immediata la mobilitazione della macchina dei soccorsi. Con i Vigili del Fuoco intervennero l'Esercito, la Marina militare che inviò il battaglione San Marco per l'allestimento delle tendopoli e delle cucine da campo, la Caritas diocesana, gli scout e molti volontari.Secondo le stime ufficiali dei Vigili del Fuoco, dopo il 14 giugno 30 mila anconetani vivevano sotto le 1453 tende montate in 56 punti del centro urbano e della periferia. La più grande tendopoli fu allestita all'interno dello stadio dorico. Almeno 600 persone trovarono alloggio negli autobus parcheggiati nelle piazze, 1500 nei vagoni ferroviari fermi alla stazione, 1000 nelle palestre delle scuole agibili. Altri alloggiarono nella nave traghetto Tiziano, ancorata in porto. Chi poteva trovò ospitalità dai parenti che non avevano le abitazioni lesionate. Dal 15 al 30 giugno furono distribuiti almeno 200 mila pasti caldi e 15 mila pacchi con cibi freddi. L'informazione sul sisma non si fermò mai. I giornali seguirono da vicino quelle giornate, i quotidiani furono sempre in edicola, la Rai, che allora dalle regioni trasmetteva solo notiziari radiofonici, allestì uno studio mobile in un pulmino. Anche la chiesa si mobilitò: l'arcivescovo Carlo Maccari la sera stessa del 25 gennaio impegnò tutte le strutture organizzative della diocesi e aprì ai cittadini le chiese che non avevano avuto danni rilevanti. Un'altra figura particolarmente importante per gli anconetani fu quella di padre Bernardino Piccinelli, arcivescovo ausiliare, che divenne punto di riferimento per molti cittadini.

Ma soprattutto, come ricordano le cronache, in quei mesi difficili per gli anconetani, una luce accesa al secondo piano del Palazzo Comunale di piazza XXIV Maggio diventò un punto di riferimento: si sparse infatti subito la voce in città che nel suo ufficio alloggiasse il sindaco Alfredo Trifogli, poi chiamato da tutti il sindaco del terremoto. E quella luce, accesa anche di notte al secondo piano del palazzo municipale, rappresentò per gli anconetani la vicinanza di un primo cittadino che negli anni fu sempre attivo prima per la gestione dell'emergenza e poi per la ricostruzione. In particolare si ricorda la sua determinazione nel rifiuto categorico dell'ipotesi di installare baracche, per evitare che questa soluzione inizialmente provvisoria potesse perdurare negli anni. Trifogli si fece promotore, con altri parlamentari marchigiani, di una legge per la città. Il modello di gestione del sisma anconetano, attorno al quale si ritrovarono tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione, divenne un esempio per le successive calamità naturali che colpirono il Paese, a cominciare dal Friuli. Anche l'impianto moderno della Protezione civile prese le mosse proprio dall'esperienza maturata sul campo ad Ancona.

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