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Salute

La malattia rarissima e il calvario, il trapianto che ha ridato la vita a Silvia

Alla giovane Silvia era stata diagnosticata una forma tumorale molto rara. Sembrava non ci fose più nulla da fare fino all'intuizione di un primario

Nel 2006 la famiglia della 17enne Silvia Fattori si rivolse ai medici del Salesi per quegli svenimenti della ragazza diventati troppo frequenti e accompagnati dai valori di emoglobina troppo bassi. Fu l'inizio di un calvario. Il loro, ma soprattutto per Silvia stessa alla quale fu diagnosticato un cancro dei più rari: il tumore gastrointestinale stromale (GIST).  Colpisce 1 adulto su 100.000, in Italia 600 su 1.000 ogni anno. Di questi, solo l’1% interessa persone in età pediatrica. Per Silvia iniziò l’iter di cura con un primo intervento chirurgico e un ciclo di farmaci, ma la situazione peggiorò fino a diventare demamatica nel 2014: la metastasi era diventata talmente grande da provocare alla ragazza dolore e difficoltà respiratorie. Il protocollo non dava altre indicazioni sull’utilizzo dei farmaci, i dottori mettevano in atto cure palliative fino all’intuizione di Marco Vivarelli, direttore della Clinica epato-biliare pancreatica dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona: un trapianto di fegato. Intervento e risultato sono stati presentati dallo stesso Vivarelli in una conferenza stampa all’ospedale di Torrette alla presenza, tra gli altri,il padre di Silvia, del direttore generale Michele Caporossi, Anna Laurenti (Società Italiana GIST) e Paolo Pierani (direttore oncoematologia pediatrica). Proprio oggi che il fatto è stato anche pubblicato sulla rivista scientifica American Journal Transportation.

Dal tumore raro al matrimonio, la storia di Silvia - GUARDA IL VIDEO

L’intervento 

«Quando incontrai Vivarelli in una riunione lui mi disse “dammi tre motivi per non fare il trapianto e io non lo faccio» ha raccontato Pierani. Quei tre motivi non c’erano, anzi il trapianto era forse l’ultima chance: «Non c’erano evidenze a favore, ma neppure contrarie – ha spiegato Vivarelli - dopo aver consultato la famiglia e il centro nazionale dei trapianti decidemmo di procedere». A dare il là definitivo al trapianto fu proprio Silvia che, diventata maggiorenne nel frattempo, acconsentì aggiungendo di non riuscire ad andare avanti in quella situazione. L’intervento iniziò una volta escluso che la metastasi si fosse estesa oltre il fegato. «Sono passati 5 anni e non c’è evidenza di ripresa della malattia» ha aggiunto Vivarelli. Fondamentale anche la diagnosi tempestiva, resa più difficile dalla giovane età della paziente: «La malattia ha caratteristiche diverse in pediatria- ha spiegato Pierani- I GIST del bambino non presentano alterazioni molecolari che ci sono invece nell’ adulto e colpiscono principalmente il sesso femminile in localizzazione gastrica»-

L’appello

«Bisogna ricordarsi che i trapianti sono trattamenti che presuppongono l’impegno della collettività- ha aggiunto Vivarelli – c’è stato un calo delle donazioni in questi ultimi mesi con 4 mancati consensi in 2 settimane. Non donare organi significa dare via libera alla vittoria della morte, il trapianto è una delle armi più potenti della medicina, può curare e anche guarire da una malattia mortale». Concetto ribadito da Sauro Longhi, Rettore dell’Università Politecnica delle Marche: «Non abbiamo organi artificiali, quindi bisogna richiamare l’attenzione sull’importanza delle donazioni».  Alla conferenza ha partecipato anche Marcello D’Errico, preside della Facoltà di Medicina: dell’Università Politecnica delle Marche: «Un intervento del genere in USA credo non sarebbe stato possibile senza una copertura assicurativa importante». Anna Laurenti ha sottolineato la speranza che questi interventi sono capaci di infondere nei pazienti: «Quando finiscono i farmaci a disposizione e non c’è nulla davanti è importante avere una nuova via che si apre. Non bisogna creare illusioni, ma neppure spezzare la speranza». 

«La medicina è passione»

Una storia a lieto fine, iniziata in uno dei reparti più delicati ed efficienti degli ospedali marchigiani, l’oncoematologia pediatrica del Salesi: «E’ un posto dove nonostante tutto si riesce a far vedere il sorriso, la speranza, gli occhi dei bambini che brillano- ha detto il direttore generale Michele Caporossi- l’intervento che è stato fatto è una soluzione unica al mondo, la medicina non è una missione ma una passione». 
 

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