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Giovedì, 25 Aprile 2024
Salute

La sindrome di De Gaulle e Paganini si cura vicino casa, inaugurato il centro specialistico

L’ospedale regionale si aggiunge ai cinque centri specializzati nella cura della sindrome di Marfan, diventandone il punto di riferimento per il centro-sud Italia

Il paziente affetto dalla sindrome di Marfan, fino a qualche decina di anni fa, era quello che andava in giro per ospedali tirandosi dietro il trolley pieno di documenti. L’approccio multidisciplinare a questa malattia rara che colpisce l’aorta, il cuore, le ossa, gli occhi e i polmoni ha rivoluzionato la diagnosi e la cura. Ai cinque centri specialistici presenti in Italia si aggiunge quello di Torrette, chiamato “Centro Marfan e aortopatie ereditarie”, dove il paziente entra in una rete costituita da diverse specializzazioni. Tradotto: una presa in carico unica con cure offerte e seguite da un team di specialisti che comprende il cardiochirurgo, l’oculista, il medico di base, l’ortopedico e il genetista. Proprio la genetica è il valore aggiunto del nuovo centro, visto che offrirà la possibilità di estendere le valutazioni anche su altri familiari del paziente.  

La sindrome di Marfan, che sembra aver colpito in passato Niccolò Paganini e Charles De Gaulle, è una malattia rara del tessuto connettivo che attacca diversi tessuti anche se porta alla morte solo nel caso di distacco dell’aorta. In Italia, fino ad oggi, era curata in modo multidisciplinare solo a Pavia, Milano, Firenze, Roma e Bologna. Il centro di Ancona è stato ufficialmente presentato venerdì mattina dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedale Riuniti di Ancona, Michele Caporossi, e dal professor Marco Di Eusanio, direttore di Cardiochirurgia e coordinatore del team multidisciplinare. Al tavolo però erano presenti anche i dirigenti di alcune delle specialità che compongono il team oltre al rettore dell’Università Politecnica Sauro Longhi, al presidente della IV Commissione consiliare Marche Fabrizio Volpini, al direttore scientifico del centro Marfan Rossella Fattori e a Clotilde Recchia, del comitato direttivo Associazione Marfan. Il centro anconetano servirà praticamente gran parte del centro-sud Italia. 

«A 13 anni mi fu diagnosticata questa sindrome durante una visita oculistica, ma casualmente. Mia madre andò in biblioteca e lesse che i pazienti non superavano i 30 anni di età. Oggi ne ho 46» ha raccontato Clotilde Recchia sottolineando l’importanza della diagnosi precoce. Chi ne soffre è solitamente più alto e magro della media, spesso con braccia e dita allungate, scoliosi e petto carenato. «Con la Marfan si muore solo per dissezione dell’aorta, ma il paziente non è comunque un paziente qualunque e i chirurghi devono saper come operare- continua Recchia- l’occhio di un paziente con Marfan ad esempio non è un occhio come gli altri. Una cataratta è tutt’altro che banale e il cristallino non si può sostituire». Ad annuire, sulla sedia accanto, è il direttore della clinica oculistica Cesare Mariotti: «L’80% di chi è affetto dalla sindrome di Marfan ha problemi oculistici come degenerazioni retiniche. Abbiamo creato questo percorso di screening su pazienti che rivedremo a distanza periodica». Michele Caporossi fa il punto sui numeri: «Nelle Marche i portatori sono tra i 150 e i 300 e in Italia c’è una prevalenza di 1 su 5.000 persone». Il dg ha poi ribadito l’importanza dell’approccio multidisciplinare alle diagnosi e alle cure: «sta partendo una gara per avere due sale operatorie ibride e quando le avremo saremo tra i centri più avanzati in Italia». Rossella Fattori vede già delle prospettive di crescita: «Ancona è stata scelta perché la sua cardiochirurgia è destinata ad essere un punto di riferimento nazionale per la chirurgia dell’aorta». Di Eusanio ha spiegato che «i pazienti hanno una aorta fragile e pronta a rompersi, la metà di loro non arriva in ospedale se non in condizioni disperate. La malattia però si manifesta anche in altri settori come i polmoni o gli occhi ed è per questo che va diagnosticata e curata in modo coordinato». Nel 75% dei casi la sindrome viene ereditata, la trasmissione non è legata al sesso e chi ne è affetto ha il 50% di probabilità di diffonderla alle future generazioni. Particolare proprio per questo la presenza nel team della genetista Giada Tortora: «Fino a 15 anni fa si parlava di sindromi simili alla Marfan, ma avevamo un unico test genetico che durava anni con esito non sempre dirimente. Oggi riusciamo a distinguere le varie forme di aneurismi e a riconoscere sia la predisposizione genetica che familiarità». 
 

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