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Dimissioni: Gramillano chiede fino al 4 febbraio, i partiti non ci stanno

Il primo cittadino avrebbe chiesto tempo fino al 4 febbraio prima di rassegnare le dimissioni, ma mezzo Pd (8 consiglieri su 16) è pronto a lasciare. Nessuna sponda nemmeno da Ucchielli né dai vertici nazionali

Aumenta il deserto politico intorno al sindaco Gramillano: riporta il Messaggero che dopo una serie di incontri svolti nella giornata di ieri (in cui avrebbe visto assessori democratici, consiglieri e segretari di maggioranza) il primo cittadino avrebbe chiesto tempo fino al 4 febbraio prima di rassegnare le dimissioni. Tempo per approvare alcuni “atti importanti”, e poi dimettersi comunque in data utile per un’eventuale votazione ad aprile.

Ma la proposta del sindaco sarebbe caduta nel vuoto: gli assessori PD avrebbero ribadito – seppure con diversi gradi di convinzione – la volontà di aderire alle decisioni del partito e “staccare la spina” subito dopo l’approvazione (piuttosto tormentata) dell’assestamento di Bilancio (tra lunedì e martedì prossimo, dunque). Stessa musica anche da parte dei consiglieri: pronti a lasciare 8 su 16 tra le file del Pd. E Gramillano ha capito di non poter più contare nemmeno sul segretario regionale democratico Palmiro Ucchielli, che si è chiuso in un sospetto silenzio alla conferenza stampa sulle primarie del Pd e ha risposto alle domande del giornalista su Ancona con un laconico “Non dico nulla, penso a vincere le elezioni politiche”. E poi ancora su, salendo fino ai vertici nazionali PD, con il responsabile degli enti locali David Zoggia, che in procinto di venire nel capoluogo per festeggiare l’esito delle primarie ha chiarito che “Senza maggioranza, non si galleggia, si torna a votare”.

Ma il primo cittadino ha già dimostrato in passato notevoli doti di resistenza, quindi sono in molti a domandarsi cosa potrebbe succedere se, all’indomani dell’approvazione del Bilancio, le dimissioni ancora una volta non arrivassero. Un’opzione percorribile sarebbe quella della dimissione contestuale di 21 consiglieri, che provocherebbe uno scioglimento dell’aula e l’indizione di nuove elezioni. I numeri ci sono: 8 Pd “ribelli”, ai quali andrebbero sommati i 10 consiglieri Pdl, Duca, Quattrini, gli ex Idv Brandoni, Fusco, Moroder e il Ps Vichi.

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