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Osimo: il Festival del giornalismo accende i riflettori sul femminicidio

Grande successo per l'apertura ufficiale del Festival del giornalismo di inchiesta: Roberta Bruzzone, Annamaria Barbato Ricci, Rosaria Esposito e Leila Ben Salah hanno parlato del tristemente attuale tema della violenza verso le donne

Si è aperto ufficialmente sabato sera a Palazzo Campana il secondo Festival del giornalismo di Inchiesta di Osimo, anche quest’anno organizzato dallo Ju-Ter Club con la direzione artistica di Gianni Rossetti. Per la serata di apertura un incontro di triste attualità: “Femminicidio, quando la coppia scoppia”. In Italia ogni tre giorni una donna è uccisa dal marito, dal fidanzato o dall’ex compagno di vita: come si può uccidere una ragazza per un litigio? E perché una donna, adulta e libera, non allontana da sé l’uomo che la sta minacciando? A queste domande hanno cercato di fornire una risposta Roberta Bruzzone (nota criminologa e psicologa forense), Annamaria Barbato Ricci (esperta di politiche di genere, già Capo Ufficio Stampa della Commissione Nazionale delle Pari Opportunità) e Rosaria Esposito (Presidente dell’Associazione Maddalena, impegnata nella difesa e la tutela delle donne maltrattate). Ha coordinato il dibattito Leila Ben Salah (Corriere Adriatico), autrice di un libro dal titolo “Ferite di parole. Le donne arabe in rivoluzione”, grazie alla quale un filo rosso ha potuto unire le storie nostrane a quelle del mondo arabo, tutte uniche eppure tutte tragicamente simili.
In sala anche un’altra giornalista, Emanuela Valente, che ha mostrato in anteprima un video sul tema realizzato per la trasmissione “La vita in diretta” e ha parlato del suo progetto sul web, il sito “In quanto donna”.

“IN QUANTO DONNA”. Un archivio fotografico dei volti delle donne uccise, ma anche dei loro assassini, con una puntuale rassegna stampa in grado di mostrare gli errori e gli orrori in cui il giornalismo può cadere – e purtroppo spesso cade – nel raccontare il femminicidio: è questo “In quanto donna” (https://www.inquantodonna.it/) il progetto di Emanuela Valente, molto di più di una semplice galleria di volti e di storie, un prezioso strumento di informazione e riflessione. Perché i media usano spesso il cliché del “raptus” quando nella grande maggioranza dei casi si tratta di omicidi premeditati da tempo (in cui magari l’assassino si è procurato l’arma settimane prima e ha anche fatto pratica al poligono di tiro)? Perché dell’uomo che uccide si conosce quasi ogni particolare della vita, mentre per le vittime è difficile anche solo sapere che lavoro svolgessero? Perché si nega alle donne morte anche questa dimensione sociale, che invece si riconosce a chi le ha uccise? Domande pesanti, e tutt’altro che scontate, che interrogano i media ma anche tutta la società, composta di lettori e spettatori che devono essere più consapevoli.

IL DECRETO LEGGE. La dottoressa Barbato Ricci ha allargato il dibattito in una dimensione politica, raccontando della bellissima e partecipata manifestazione che si è svolta a Roma – cui ha partecipato anche Laura Boldrini – per pubblicizzare il numero di pubblica utilità contro le violenze sulle donne, il 1522. Il dibattito è poi inevitabilmente sfociato sul decreto legge sul femminicidio, attualmente in discussione in aula (e con poche prospettive di vedere la luce) sul quale gravano ormai più di 400 emendamenti. Uno strumento comunque giudicato dalle esperte in sala del tutto insufficiente – se non, in alcune sue parti, addirittura dannoso – “Un simulacro per dire che si è fatto qualcosa”, ha chiosato impietosamente la dottoressa Barbato Ricci.

CHE FARE. “Abbiamo speso 80 milioni di euro per acquistare 400 braccialetti elettronici (peraltro strumenti già dismessi da altre polizie) e ne abbiamo installati appena 12”, ha ricordato la criminologa Roberta Bruzzone, “Con quel denaro sprecato si sarebbe potuto investire negli operatori sociali e nelle forze dell’ordine”.
“La denuncia non è un punto di arrivo” ha spiegato “ma il punto di partenza di un percorso che va seguito con criterio”. Uno dei veri problemi, secondo l’esperta forense, è la mancanza di una figura giuridica ad hoc, un “giudice di famiglia” (come esiste in altri paesi occidentali che hanno visto calare le turpi statistiche sul femminicidio, in cui invece l’Italia è maglia nera in Europa), cui fa contraltare la necessità di aprire un canale giudiziario preferenziale, in cui i processi su reati di questo tipo (non solo ovviamente gli omicidi, in cui è già troppo tardi, ma anche i casi di minacce e stalking) possano evitare la palude giudiziaria tipica della situazione nostrana. Il 60% dei crimini legati alla persecuzione delle donne cade infatti in prescrizione: e questo è un insulto alla civiltà.

MADDALENA. Strumenti giuridici, ma anche sociali, come quelli messi in campo dall’associazione di Rosaria Esposito, “Maddalena”, che opera nella periferia di Napoli e oltre ad essere il primo presidio in difesa delle donne maltrattate (operazione per la quale ovviamente lavora in stretta collaborazione con le forze dell’ordine) svolge laboratori nelle scuole e con i giovani, coinvolgendo attualmente, in via sperimentale, anche alcuni giovani ragazzi che hanno commesso violenze, per accompagnarli verso un auspicabile percorso di consapevolezza e recupero.
Giovani cui spesso anche Roberta Bruzzone si è rivolta, magari da affollati auditorium scolastici, in cui molte volte l’esperta ha rivolto due consigli (rivolgendosi alle ragazze): “l’unico modo di cambiare un ragazzo violento è cambiare ragazzo”; e “solo l’autostima vi salverà”.

IL SILENZIO E’ COLPEVOLE. Il dibattito è proseguito fino a tarda sera, con una platea attenta e completamente dimentica dell’orologio, e si è chiuso con una intensa sessione di domande da parte del pubblico, in cui è stata ribadita la necessità di tutti di partecipare a questa “guerra” contro la violenza sulle donne, magari facendo capire a chi frequentiamo e sappiamo essere violento che il suo comportamento non è accettabile in nessun contesto, e alle vittime che non sono sole, perché l’isolamento è il tremendo terreno di coltura in cui maturano gli omicidi.

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