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Cronaca Jesi

Vendeva falso Verdicchio, sequestrati oltre 15mila litri del celebre vino

E’ risultato che le partite del vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, vantate tutte di “rigorosa” certificazione D.O.C., altro non erano che semplice (e sicuramente più economico) vino bianco

Un ingente sequestro di falso Verdicchio dei Castelli di Jesi è stato eseguito in questi giorni nell’ambito di un’indagine di polizia giudiziaria delegata dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno con l'ausilio delle Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Ascoli Piceno, scoprendo anomalie relative al prezzo al consumo del particolare vino D.O.C., risultato infatti al di sotto del normale prezzo di mercato.

Riscontrata l’assenza di certificazioni chimico-fisiche ed organolettiche necessarie, secondo la normativa di settore ed il Disciplinare del Verdicchio dei Castelli di Jesi, per l’acquisizione dell’appellazione di vino D.O.C. attraverso il rilascio di un Attestato di idoneità, le indagini sono state quindi indirizzate verso la ricostruzione della filiera documentale del falso Verdicchio, coinvolgendo, quale “protagonista”, un’azienda vinicola dell’entroterra piceno, che aveva gestito le fasi di imbottigliamento ed etichettatura delle dame di vino.

Il prodotto certificato, per l’immissione in commercio, è soggetto di una tracciatura mediante Lotti di imbottigliamento che gli operatori devono obbligatoriamente comunicare all’Organismo di certificazione – e invero bypassata dall’azienda vinicola ascolana – il quale ne verifica la rintracciabilità sin dalla sua origine e provenienza. I successivi sviluppi delle indagini hanno condotto quindi gli investigatori presso due centri di una nota catena di distribuzione alimentare a livello internazionale, ubicati a Perugia e a Monteprandone, dove sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro 15.000 litri del falso Verdicchio, contenuti in 3.000 dame da 5 litri cadauna, fornite dall’azienda vinicola picena.

E’ risultato così che le partite del vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, vantate tutte di “rigorosa” certificazione D.O.C., altro non erano che semplice (e sicuramente più economico) vino bianco, imbottigliato ed etichettato “ad arte”, scoperto dagli investigatori in breve tempo attraverso perquisizioni eseguite presso la stessa azienda vinicola picena, che hanno consentito di raccogliere elementi probanti di una “Frode nell’esercizio del commercio”, prevista e punita dall’art. 515 del Codice penale con la reclusione fino a 2 anni o la multa fino a 2.065 euro. Tuttavia, trattandosi di bevande caratterizzate da una denominazione di origine, ovvero geografica, le cui specificità sono protette dalle norme vigenti, al titolare dell’azienda vinicola sono state ascritte anche le circostanze aggravanti previste dallo stesso Codice penale all’art. 517-bis, in conseguenza delle quali il Giudice, in sede di pronuncia di condanna, qualora eventualmente riconosciuta la “particolare gravità” (e, per altro caso, anche la sussistenza di recidive) potrà disporre anche la chiusura dell’azienda per un periodo da 5 giorni a 3 mesi, ovvero la revoca della licenza, dell'autorizzazione o dell'analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell'attività commerciale.

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