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Cronaca

Cellule staminali contro la paralisi cerebrale, la piccola Tea trova una chance in più negli Usa

La piccola è stata sottoposta a un intervento sperimentale negli Stati Uniti

ANCONA - Dal pessimismo dei medici su un completo recupero alla speranza ottenuta grazie alla fisioterapia, per poi conquistarne una ancora più grande di speranza. Oltreoceano, però. E’ la storia di Tea, un amore di bambina nata quattro anni e mezzo fa ad Ancona e affetta da una paralisi cerebrale infantile. Ieri al “Duke Children's Health Center” di Durham, in North Carolina, è stata sottoposta a un’infusione di cellule staminali prelevate dal sangue del cordone ombelicale della sorella. Una procedura sperimentale, che secondo i medici dovrebbe portare al cervello di Tea nuovi stimoli in grado di avviare una progressione: «L’infusione è andata bene, secondo le aspettative Tea dovrebbe guadagnare 4 o 5 mesi anagrafici sia dal punto di vista motorio che cognitivo- spiega la madre, Silvia Diamante - per lei sarebbe comunque molto importante, perché la paralisi è come se avesse bloccato le sue capacità all’età di un anno». Funzionerà? In quanto tempo? Nessuno può dirlo: «Aspettiamo e vediamo i risultati, ma volevamo far conoscere questa possibilità» continua mamma Silvia.

L’intervento

L’intervento è consistito nel trasferimento di sangue dal cordone della sorellina nel corpo di Tea, con i rischi classici di un trapianto. In Italia non è stato possibile farlo, perché nel nostro Paese è possibile conservare le cellule del cordone, ma per agire su una lista di patologie dalla quale la paralisi cerebrale è esclusa: «Abbiamo scelto di depositare il sangue del cordone della sorellina in una banca di San Marino, la Bioscience - prosegue Silvia- nel frattempo ci siamo informati su dove potevamo rivolgerci per l’infusione delle staminali. La scelta era tra Corea, Messico, Iran e la Duke University». La decisione della famiglia è caduta sugli Stati Uniti, dove la ricerca per questo tipo di intervento è già arrivata alla seconda fase dei finanziamenti. La piccola è partita lunedì scorso con papà Michael. L’ intervento appena due giorni dopo: «Dietro c’è stato un lavoro di due anni fatto di scambio mail e contatti, anche per verificare la compatibilità» spiega la madre.

I progressi con la fisioterapia

Tea però una battaglia l’aveva già vinta prima di salire sull’aereo. «Quando è nata è stata 20 giorni in terapia intensiva- racconta Silvia- i medici ci dissero di fare fisioterapia ma di non aspettarci nulla di che, perché sarebbe stata poco più che un vegetale». Prima il lavoro dei terapisti del servizio sanitario nazionale, poi quello dei colleghi della “Orizzonte e Autonomia Onlus” di Camerano e dei fisiatri dell’ospedale di Reggio Emilia dove la bimba è stata seguita dalla dottoressa Silvia Faccioli. «I risultati li abbiamo visti, già prima di andare in America, infatti ci è stato detto che Tea riuscirà anche a camminare». Gli Usa sono la speranza in più: «Se guardi fuori dai confini nazionali c’è una ricerca che va avanti e dall’altra parte del mondo queste cose potrebbero essere fatte anche qua» conclude Silvia.

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