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Cronaca Stazione / Via Dalmazia

Scarpe in moschea, Caporalini: «Il soccorso si fa così, nessun compromesso»

Il presidente della Croce Gialla chiarisce le disposizioni regolamentari dopo il caso dei soccorritori fermati all'ingresso della moschea perché indossavano le scarpe

«Il soccorso si fa così e buonanotte, non possiamo scendere a compromessi per tradizioni religiose o altri motivi». Alberto Caporalini, presidente della Croce Gialla di Ancona, spiega le procedure dei soccorritori in caso di accesso in luoghi privati. La polemica è nata domenica scorsa quando agli operatori era stato inizialmente impedito l’accesso alla moschea di via Dalmazia per soccorrere un fedele colpito da un malore. Il motivo? Avevano le scarpe ai piedi e non volevano toglierle. «Abbiamo le nostre dotazioni di antiinfortunistica e le scarpe non possiamo toglierle per motivi tecnici e legali. Il regolamento parla chiaro e non sono previste deroghe, sarebbe come dire ai poliziotti di entrare in una moschea senza armi o ai vigili del fuoco senza scarponi- spiega Caporalini- se il paziente non vuole che entriamo ce lo portano sulla soglia della porta, oppure ci rimettiamo alle volontà dell’assistito e in caso non lo portiamo via». A via Dalmazia però non era l’assistito a ostacolare i soccorritori. Alla porta c’era l’Imam in persona, che solo dopo un consulto di cinque minuti con altri sacerdoti ha acconsentito ai volontari di accedere nell’area sacra con le scarpe ai piedi. Caporalini specifica di non essere a conoscenza diretta del fatto specifico, ma di averlo appreso da notizie di stampa: «Poteva essere una moschea o un’abitazione privata, certamente non possiamo fare un’irruzione così come non possiamo forzare un assistito che non vuole essere portato in ospedale visto che è nelle sue facoltà».

L’Imam contro la Croce Gialla: «Nessuno ha fermato gli operatori all'ingresso»

Gli unici posti in cui il protocollo prevede l’accesso con delle protezioni come calzari o copriscarpe, spiega Caporalini, è in specifici reparti ospedalieri oppure in situazioni in cui la sicurezza dell’equipaggio lo rende indispensabile: «Se dobbiamo fare un intervento in una piscina, ad esempio, non è previsto che indossiamo dei calzari. Entriamo e poi in caso puliranno». Le scarpe, spiega il presidente della Onlus di pubblica assistenza, fanno parte delle dotazioni di sicurezza dell’equipaggio così come i caschi per l’accesso nei cantieri: «Se l’operatore le togliesse, ad esempio, potrebbe cadergli una barella su un piede e farsi male in pieno soccorso». Poi c’è la lotta contro il tempo: «Indossare i calzari potrebbe far perdere dei secondi preziosi. Non è una questione di credo religioso, il discorso vale anche per uno che in casa ha appena passato lo straccio. Se non vogliono non entriamo, ma se entriamo lo facciamo con i nostri presidi antinfortunistici». Lo stesso Caporalini racconta una sua esperienza diretta, che risale ormai a oltre 30 anni fa: «Dovevo soccorrere una signora e la figlia mi chiese di togliere la parte superiore della divisa perché altrimenti la madre si sarebbe impressionata, io gli risposi che non potevo perché la dotazione era quella. Non è un capriccio, è questione di sicurezza e di legge».
 

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