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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Marche, ricercatori negli USA: ritorno tra successi, cervelli in fuga e precariato

«Questo fa parte della grande scommessa delle attività di ricerca, dove anche nello sviluppo tecnologico di alcuni brevetti, c'è chi ha successo e chi no» ha detto il Ministro alla Salute Beatrice Lorenzin

Nel 2012 la Fondazione Marche stanziò 1 milione di euro per 9 borse di studio con le quali altrettanti marchigiani partirono per gli Stati Uniti d’America, dove per 2 anni hanno lavorato ai massimi livelli della ricerca mondiale in campo biomedico, con tanto di tutor al top. Sarebbero poi dovuti tornare sul territorio per consegnare alla sanità regionale un bagaglio di competenze e professionalità di altissimo livello. Ma non per tutti le cose sono andate come previsto. La maggior parte di loro non è tornato in Italia e nelle Marche. C'è chi ritrova oggi con un contratto da precario. Fino al caso di un ricercatore addirittura disoccupato. E' quanto emerso all'incontro di Fondazione Marche sul programma di Post-Doc Fellowship, tenutosi giovedì pomeriggio alla Mole Vanvitelliana, alla presenza del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e del Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli

IL MINISTRO BEATRICE LORENZIN. «Non conosco i singoli casi ma credo che questo faccia un po’ parte di quella grande scommessa delle attività diIl Ministro Beatrice Lorenzin all'incontro con la Fondazione Marche-2 ricerca dove lo sviluppo tecnologico dei brevetti, porta alcuni di questi al successo e altri no. Poi il ricercatore per natura è un po’ sempre in giro per cercare il luogo adatto a sé». Un “viaggio” alla ricerca di stabilità in cui però forse ci sono poche tutele? «Per questo ho fatto una nuova proposta in cui vengono tutelati i progetti migliori - Ha risposto la Lorenzin - I ricercatori più bravi e con il progetto più interessante con il quale, attraverso l’IRCCS (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) costruire una propria carriera nei prossimi 15 anni. E’ una mia proposta su cui stiamo lavorando».

LE STORIE. Con un curriculum stellare, 2 anni negli Usa ai massimi livelli della ricerca e disoccupato nelle Marche. E' Cristian Loretelli, biologo molecolare 40enne di Sassoferrato, due anni a Boston nel laboratorio del Cancer Research Institute del Beth Israel Deaconess Medical Center - Harvard Medical School. «E’ stata un’esperienza meravigliosa ma pensavo che mi desse qualche carta in più per proseguire il mio percorso accademico - ha detto Loretelli - Invece, dopo un anno di co.co.co, mi è stato detto che la mia linea di ricerca non è più strategica e sono rimasto a piedi. Forse, se penso che volevo proseguire una carriera accademica, sarebbe stato meglio non partire. Sono deluso e credo che tornerò all’estero». Dunque sull’esperienza e sul progetto intitolato “Dall’Italia all’America, andata e ritorno” nulla da dire perché i 9 borsisti hanno vissuto un’esperienza professionale e personale che ripeterebbero anche subito. Ma il problema è stato proprio il “ritorno”: senza prospettive e con la paura di rimanere precari a vita. Un lato amaro di questa esperienza, resa possibile anche grazie alla collaborazione con l’ISSNAF (fondazione che riunisce 4mila scienziati italiani in Nord America). Insieme a Loretelli c’è Ulisse Ulissi, 38enne di Cupra Marittima (Ascoli Piceno), due anni all’Università di Miami dove ha collaborato con il team di ricerca del Diabetes Research Institute (DRI) per cui «dal punto di vista scientifico e umano è stata un’esperienza fantastica perché ho lavorato sul diabete di tipo 1, partecipando a una serie di progetti che riguardavano il trapianto del pancreas. Però è mancato un tessuto che ci accogliesse e ci siamo dovuti reinventare. Io oggi faccio l’insegnante precario nelle scuole superiori». «L'esperienza di Miami è stata altamente formativa sia dal punto di vista umano che professionale - racconta la biologa Monia Cecati, di Santa Maria Nuova e oggi Post-Doc presso l'Università Politecnica delle Marche - Oggi vivo con un assegno di ricerca con la speranza di sbarcare il lunario. Ci hanno lasciati un po’ a noi stessi». Vorrebbe invece tornare in Italia Lucia Casadei, ricercatrice di Urbino che dal 2012 lavora alla Ohio State University di Columbus, in Ohio, arrivata grazie alla borsa di studio della Fondazione Marche. Ma non le conviene perché in Italia e nelle Marche non ci sarebbe nulla per lei: «Ho avuto la fortuna di avere come tutor un luminare della biomedicina, specializzato nei microRNA nei tumori e ora studio i microRNA nei sarcomi, in collaborazione fra i due laboratori di Croce e di Pollock. Ma sono rimasta qui perché mi avevano fatto capire che a casa non c’era nulla per una come me. Spero un giorno di tornare in Italia ma non credo sia per adesso». Sicuramente più soddisfatto Davide Sartini, 39enne di Jesi, partito nel 2012 per la New York University School of Medicine, dove si è occupato di biologia del cancro e oggi é ricercatore presso l’Università Politecnica delle Marche, dove lavora con una borsa di studio della Fondazione Umberto Veronesi. «L’esperienza negli Usa è stata bellissima dal punto di vista scientifico, perché ho potuto praticare la biologia cellulare, che in Italia non avevo approfondito. Poi il problema è stato il dopo che è mancato. La verità è che quando eravamo partiti, c’era in progetto di ricollocarci sul territorio all’interno di un Centro di Medicina Molecolare che lavorasse a stretto braccio con Università Politecnica delle Marche e Inrca». Un’idea, quella del Centro di ricerca sfumata dopo il cambio del governo regionale e dei vertici della sanità marchigiana. «Io sono soddisfatto del mio percorso certo - ha proseguito Sartini - Ma ho 40 anni e mi ritrovo con una borsa di studio. Cerco stabilità». Poi c’è Bruna Corradetti, 35enne di Castignano (Ascoli Piceno), biologa e ricercatrice all’Università Politecnica delle Marche, dopo aver lavorato nel dipartimento di nanomedicina dello Houston Methodist Research Institute, con il professor Mauro Ferrari come tutor. C’è Francesca D’Addio, 40anni Fano (Pesaro e Urbino), medico dopo tre anni al Boston Children's Hospital. Ora lavora all’Ospedale San Raffaele di Milano. «Negli Usa ho imparato il sistema di coltura dei “mini gut”, mini intestini creati in vitro che crescono a partire da una cellula staminale singola – racconta D’Addio –. Qui al San Raffaele ho potuto dar vita al primo laboratorio che applica questa tecnica nel nostro Paese». Infine Chiara Ardiccioni, 33enne di Macerata laureata in Fisica all’Università La Sapienza di Roma che ora vive e lavora a New York. 

E adesso? I giovani borsisti dovrebbero trasformare il loro know how in sviluppo scientifico-imprenditoriale. Cioè dovrebbero produrre quello che hanno imparato e proporlo, magari attraverso start-up e spin-off, ai privati interessati alle loro idee. «E’ questo il modello statunitense che risulta vincente e che cerchiamo di esportare in Italia - ha detto il Rettore dell’Università Politecnica delle Marche Sauro Longhi - Per questo abbiamo investito 1 milione di euro per creare un laboratorio ad Ancona, che faccia da incubatrice di quegli studi affinché siano sviluppate. Se saranno valide troveranno senza dubbio qualcuno pronto ad investire in quelle idee». «La start-up è una mezzo per raggiungere il finanziatore» ha detto il Direttore Generale dell’Ospedale Torrette di Ancona Michele Caporossi. Anche se i professionisti non sono convinti perché, per una start up ci vogliono anche competenze manageriale che loro non hanno. 

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