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Cronaca

Usavano il data base della polizia per cercare informazioni personali: tre agenti a processo

Devono rispondere di accesso abusivo al sistema informatico, rifiuto di atti di ufficio, rivelazione del segreto d'ufficio e falso. Nei guai i poliziotti del reparto Mobile di Senigallia e dell'ufficio di Frontiera. Tra le ricerche anche il controllo di una targa di un veicolo con cui avevano avuto un incidente fuori dal servizio   

ANCONA – Il collega chiamava per avere informazioni su persone di nazionalità straniera. Dall'altra parte c'era chi si adoperava per cercare nel data base riservato unicamente alle indagini per soddisfare le richieste e fornirle a chi lo aveva interpellato. Il tutto senza un minimo controllo se quelle informazioni erano realmente per lavoro. Per la Procura di Ancona, che oggi ha chiesto ed ottenuto il rinviato a giudizio di tre poliziotti in servizio tra Ancona e Senigallia, le richieste sarebbero state tutte per motivi personali. Non andavano fatte e tantomeno fornite. A volte sarebbero state per sapere se c'erano pendenze penali a carico, spesso finalizzate per affittare case di famiglia, altre volte per controllare addirittura la targa di una vettura con cui i poliziotti avevano avuto un incidente stradale. Sarebbe stato chimato anche il centralinista per una verifica rapida. I tre imputati, per cui si aprirà il processo il 13 giugno del 2024, sono due agenti della polizia di Frontiera di Ancona, un siciliano di 49 anni e un anconetano di 60 anni, e un agente del reparto Mobile di Senigallia, 54enne, anconetano. Per un quarto poliziotto è stata chiesta la messa alla prova, è un abruzzese di 51 anni, in servizio alla polizia di Frontiera. Le accuse, a vario titolo, sono accesso abusivo al sistema informatico, rifiuto di atti di ufficio, rivelazione del segreto d'ufficio e falso. Per alcuni i reati sono contestati in concorso e aggravati. Accuse tutte ancora da dimostrare.

In più occasioni, a partire dall'estate del 2015 fino ad arrivare all'autunno del 2017, gli agenti avrebbero utilizzato il sistema informatico e telematico per accedere alla banca dati del sistema di indagine (lo Sdi), cercando o chiedendo informazioni su persone per lo più straniere. I poliziotti del reparto Mobile, non avendo accesso diretto ai dati, interpellavano i colleghi della polizia di Frontiera che si sarebbero resi complici collegandosi di volta in volta al terminale di servizio. L'indagine era partita perché erano stati segnalati numerosi accessi al sistema, immotivati. Tra le contestazioni ce n'è anche una relativa ad un agente che avrebbe attestato falsamente l'ingresso di un albanese nel territorio italiano, in data 31 ottobre 2016, apponendo il timbro sul passaporto. In un altro caso invece avrebbe omesso il controllo di uno straniero entrato in Italia. Un altro poliziotto avrebbe chiesto informazioni per sette volte sulla stessa persona, in mesi e anni diversi. Gli imputati, difesi dagli avvocati Domenico Liso, Marco Giorgetti, Luca Pancotti e Marcellino Marcellini, rigettano le accuse. Hanno sempre lavorato diligentemente. La verità emergerà al processo.  

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