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Cronaca Osimo

«Abbiamo parlato di famiglia e le ho teso la mano, poi l’ho abbracciata forte»

Martina Pigliapoco, carabiniera osimana, racconta come ha salvato una mamma che voleva lanciarsi da un ponte tibetano sospeso a 80 metri

«Sono arrivata a 10 o 15 metri da lei, che mi intimava di non procedere. Era già aggrappata al ponte, mi sono seduta per farle capire che poteva fidarsi di me e che ero lì per aiutarla e da quel momento sono partite 4 ore di “trattativa”». Martina Pigliapoco, carabiniere in forza alla stazione di San Vito di Cadore, racconta come lunedì scorso ha salvato la vita a una mamma che voleva gettarsi dal ponte tibetano di Perarolo, sospeso a 80 metri. «Erano le 9,50 quando l’autopattuglia sulla quale ero operativa ha ricevuto la segnalazione dalla centrale di Cortina d’Ampezzo- racconta Martina- diceva di portarsi al ponte di Perarolo perché alcuni testimoni avevano visto una donna scavalcare il parapetto del ponte tibetano. Siamo andati noi perché eravamo a 5 minuti da lì. Sul posto c’era già il sindaco, una delle persone che aveva fatto la segnalazione, e ci ha indicato la signora anche se l’avevamo già vista arrivando. Il mio collega si è fermato all’imbocco del ponte, io sono riuscita ad arrivare a 10 o 15 metri dalla signora, che però mi ha intimato di non andare oltre. A quel punto ho deciso di sedermi, senza fare movimenti bruschi, per tranquillizzarla e ottenere la sua fiducia. Volevo capisse che ero lì per aiutarla». Da quel momento è partito un vero e proprio monologo di Martina: «Non collaborava, non rispondeva, per le prime 3 ore ho parlato solo io, lei faceva solo piccoli cenni incomprensibili. Le ho raccontato di me per cercare un punto che potesse interessarle, lei era sempre lì in quella posizione. Il rischio è che da un momento all’altro potesse cadere accidentalmente. La chiave di volta? Quando le ho chiesto se avesse famiglia, se ci fosse qualcuno che si prendeva cura di lei. Mi ha risposto di avere dei figli e ho capito che potevo lavorarci su. La macchina dei soccorsi intanto si era già attivata, sono arrivati altri colleghi, compreso il negoziatore che è una figura specializzata per queste situazioni. Il problema era che la signora non voleva farlo avvicinare, non voleva ci fossero altre persone a parte me, quindi sentivo il negoziatore con dei messaggi whatsapp. Non potevo neppure telefonargli, altrimenti lei si sarebbe agitata». Poi la situazione si è tranquillizzata. «Dopo gli ultimi 20 minuti di dialogo in cui lei si è confidata con me, si è convinta a scavalcare e a tornare sul ponte. Le ho teso la mano e l’ho abbracciata forte. Quando è tornata su era una persona lucida, e ha pensato subito alla sua famiglia». 

«Cosa si prova subito dopo? Non lo so ancora, è una esperienza che ti tocca e ti segna a vita specialmente se non sei una persona specializzata e formata per quel tipo di intervento. Quando sono arrivata ho seguito semplicemente l’istinto. Ci sono tante persone che ogni giorno salvano vite per lavoro, non penso di aver fatto nulla di così speciale- dice Martina- mi sento onorata dei ringraziamenti. Lei? Non l’ho risentita, spero di farlo per sapere come sta. Adesso no, non mi sento di contattarla subito perché non vorrei che mi collegasse alla situazione e potesse rivivere il trauma, resterà comunque una persona importantissima per me». 
 

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