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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Il Coronavirus blocca anche il paradiso: Italo, il "survivor" solitario che vive di pesca e cocco

Lui sta bene ma da due settimane non può scendere sulla terra ferma perché ci sono casi di Covid-19 a San Blas, vicino Panama. Mangia ciò che pesca: non è facile la vita a largo dell'isola paradisiaca

Con il lockdown da Coronavirus anche le isole paradisiache possono trasformarsi in un inferno. Lo sa bene Italo Mattei che da due settimane sopravvive sulla sua barca non lontano da un'isoletta dell'Atlantico, San Blas. Mangia ciò che pesca, raccoglie il cocco e ha carburante sufficente ancora per tre, massimo quattro settimane. Perdipiù non può attraccare su isole abitate perchè potrebbe essere portatore di virus. Sembra il sequel di Cast Away ma non lo è. Si tratta dell'avventura dolceamara che sta vivendo questo anconetano di 43 anni.  

Italo, amante del mare e dei viaggi non convenzionali, aveva deciso di iniziare un'avventura in barca a vela per il mondo. Era partito dal porto di Ancona poco prima della fine dell'estate, per approdare in Canada a Settembre e, tappa dopo tappa, era arrivato sull'Isola di San Blas, nell'arcipelago panamense. Il 14 marzo, con la comparsa dei primi casi di Covid-19 in l'America centrale e meridionale, si è trovato improvvisamente isolato in mezzo al mare, senza l'autorizzazione ad attraccare per comprare cibo, acqua o beni di prima necessità. L'unico accesso alla terra ferma è stato interdetto dal governo kuna (il popolo indigeno) e tutti i turisti nel giro di tre giorni sono spariti per tornare nei loro paesi.

«Per ora sopravvivo e sto bene - spiega Italo - ho una cambusa che ancora mi permette di mangiare, vado a pesca e, per quanto riguarda l'acqua, ho un dissalatore che utilizzo per depurare e bere. Sull'isola di San Blas e negli arcipelaghi vicini ci sono solo anziani e pare siano scoppiati un paio di casi di Coronavirus. Qui non ci sono ospedali, lo spazio è ristretto perciò non ci fanno più scendere nelle isole abitate, hanno paura, li capisco. Possiamo attraccare solo sulle isole deserte dove c’è il cocco e nient'altro. Sono preoccupato. Devo assicurarmi di avere la benzina per il gommone, il gasolio per la barca e il gas per cucinare. Per ora ho un altro mese di autonomia, poi si andrà a remi e ci si scalderà con il fuoco come i veri survivors. Come se non bastasse pochi giorni fa mi sono anche rotto un dito ma devo tenermelo così com'è, non c'è modo di curarsi qui in questo momento».

Il problema è comunicare, non è sicuramente come trascorrere il proprio tempo. «Comunicare non è semplice in mezzo all'oceano, il cellulare prende poco. Ci scambiamo i messaggi vocali, però non mi annoio sicuramente: c'è da sistemare la barca, vado a pesca e poi ci sono i miei vicini con i loro mezzi attraccati poco distanti dal mio. Ci teniamo un po' di compagnia e stiamo a cena insieme, chiacchieriamo, passiamo qualche ora prima che arrivi il buio. Potrei richiedere di tornare in porto per poi stare quindici giorni in quarantena. Ma l'aeroporto di Panama è chiuso da ormai quindici giorni e la città non è molto sicura in questo momento. I turisti sono andati via e ci sono stati casi di rapine, furti e poi c'è il coprifuoco. Forse è meglio rimanere al sicuro sulla barca». Una vacanza da sogno, che però ora si è complicata per l'anconetano. «Direi che i piani sono un po' cambiati, ma alla fine, finché ho le cose basilari per sopravvivere, me la posso cavare. Ci sono migliaia di persone che stanno morendo in ospedale in questo momento e di certo non posso lamentarmi io che mi sveglio ogni giorno con un panorama da cartolina di fronte agli occhi».


 

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