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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

«Mio figlio era malato, lo Stato lo ha lasciato morire in carcere. Ora voglio la verità»

L'ultima volta che la madre aveva visto suo figlio risale a 19 giorni prima che morisse, il 4 luglio, quando Daniele le avrebbe detto: «Mamma se io non esco dal carcere, qui ci muoio»

«E’ inutile che mi dicono che è deceduto per morte naturale, questo già lo sapevo. Io vorrei sapere di chi è la responsabilità perché la morte di mio figlio si poteva evitare dato che per tre volte aveva chiesto di uscire dal carcere, non per evitare la pena, ma per essere ricoverato in una struttura sanitaria. Daniele era invalido, malato e doveva operarsi. Lui in carcere non ci doveva stare. Credo che la Magistratura e lo Stato abbiano abbandonato mio figlio. Ora voglio la verità per cui andrò fino in fondo». Dopo tanti mesi rompe il silenzio Soriana Candiloro, la madre di Daniele Zoppi, l’anconetano di 34 anni morto in carcere il 23 luglio 2015, dopo aver fatto tre volte richiesta per scontare la pena con una misura alternativa per motivi di salute. Già, perché Zoppi, che doveva scontare altri 5 anni per spaccio di sostanze, era obeso, aveva problemi respiratori, la pressione alta e la schiena schiacciata da infiammazioni ed ernie. Pochi mesi prima del decesso, si era operato all’anca destra e, lo dicono i referti delle visite mediche, aveva al più presto bisogno di un’operazione per la riduzione del peso. Troppi quei 140 chili per uno come lui. Condizioni di salute certificate da vari medici e da sempre rimarcate dall’avvocato Luca Bartolini, che si è sempre battuto affinché la Magistratura di Sorveglianza trovasse un’alternativa al carcere. Infatti l’anconetano aveva prima richiesto i domiciliari per l’ozonoterapia, poi la sospensione di pena da riprendere a seguito dell’operazione e infine il ricovero in una struttura sanitaria per detenuti. Tutte rigettate.

IL DOCUMENTO - Doveva sottoporsi a continui esami

Per il Tribunale di Sorveglianza di Ancona, come si legge nella risposta (datata 13 luglio 2015) all’ultima istanza del legale, seppur “necessitava di frequenti contatti con i presidi sanitari territoriali, le condizioni di salute dello Zoppi non sono particolarmente gravi da giustificare il rinvio facoltativo della pena“. Richiesta negata. «Se non era così grave come dicevano, come mai mio figlio è morto 10 giorni dopo?» domanda la Candiloro, convinta che, se i giudici avessero acconsentito a quella richiesta, suo figlio Daniele oggi sarebbe ancora vivo. «Non serve essere medico per capire che Daniele non poteva stare lì. Ci sono delle responsabilità da parte di chi non ha fatto nulla per mettere mio figlio in condizione di potersi curare. Se Daniele fosse stato trasferito, si sarebbe anche potuto scoprire un problema cardiaco che avrebbe salvato la vita di mio figlio. Invece no. E’ morto solo in carcere senza che potessi vederlo o sentirlo». Infatti l’ultima volta che la madre lo aveva visto era 19 giorni prima, il 4 luglio, quando Daniele le avrebbe detto:

«Mamma se io non esco dal carcere, qui ci muoio»

L'AVVOCATO - «La detenzione non può togliere la dignità»

L’INCHIESTA. Dunque la domanda a cui si deve trovare risposta è: Daniele Zoppi si sarebbe potuto salvare o sarebbe comunque morto di infarto? Anche per questo va avanti l’inchiesta della Procura di Ancona. Sul tavolo del pm Paolo Gubinelli c’è un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. Non un capo di imputazione a caso perché significa che gli inquirenti stanno lavorando per capire se qualcuno non abbia fatto a sufficienza per impedire il decesso del detenuto. Di recente è arrivata la perizia del medico legale che non ha apportato elementi di novità all’inchiesta, stabilendo come il giovane fosse morto per “arresto cardiaco”. Il che porterebbe l’indagine verso l’archiviazione. Esito di fronte al quale Soriana Candiloro non si fermerà, pronta a battersi fino alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Bruxelles. «Io voglio che si faccia giustizia perché mio figlio non sarebbe morto se avesse ottenuto quello che per ben tre volte aveva chiesto: non evitare la pena, ma scontarla ed essere curato». Ma mentre si farà luce su eventuali responsabilità penali, resta l’immagine di un uomo che, nella malattia, in carcere, aveva già perso la propria dignità. Senza potersi muovere, sempre più affannato, con problemi di incontinenza e, come avrebbe testimoniato un volontario del carcere, con le caviglie diventate gonfie ed emaciate nell’ultimo periodo. Soffriva Daniele Zoppi, al punto da confidare ad un amico che prima o poi avrebbe simulato un malore pur di uscire di lì e andare anche solo una notte in ospedale. Mai avrebbe pensato che di lì a poco avrebbe avuto un malore vero e fatale. 

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