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Cronaca Osimo

Grave incidente ad Osimo 17 anni fa, oggi il padre chiede l'eutanasia

Si era trasferito ad Osimo, nelle Marche, per lavorare in proprio, progettando barche e accessori per la nautica. Ma la mattina del 6 novembre di 18 anni fa, mentre andava al lavoro con un collega, l'auto su cui viaggiava si scontrò con un autoarticolato

Un appello a "non spettacolarizzare" il dibattito sull'eutanasia (una parola che lui, però, non pronuncia mai), lasciando riflessioni e decisioni ai familiari dei pazienti, che li vivono ogni giorno. Questo l'appello accorato di Pietro Supino, 73 anni, infermiere in pensione. In una lettera indirizzata all'associazione dedicata ad Eluana Englaro, al dottor Stefano Canestrari della Consulta bioetica nazionale, all'onorevole Maria Amato, al ministro della Salute Beatrice Lorenzin e alle testate giornalistiche racconta la storia del suo primogenito Mariano, rimasto vittima, a 29 anni, nel 1997, di un incidente che gli ha cambiato la vita. 

LA STORIA - Ingegnere areonautico, sportivo, un giovane pieno di vitalità, si era trasferito ad Osimo, nelle Marche, per lavorare in proprio, progettando barche e accessori per la nautica. Ma la mattina del 6 novembre di 18 anni fa, mentre andava al lavoro con un collega, l'auto su cui viaggiava si scontrò con un autoarticolato. Qualche ora dopo i carabinieri chiamarono il padre, al lavoro in ospedale. E iniziò da quella telefonata un calvario infinito. Nella lettera Supino racconta il drammatico viaggio verso Ancona, dove nel frattempo era stato trasportato il figlio gravemente ferito, le notizie contraddittorie, che a tratti alimentavano la speranza, a tratti spaventavano i familiari con l'idea che il giovane Mariano fosse già morto. Alla fine, i medici emisero la diagnosi: "Invasione ematica totale cerebrale, con fratture multiple a omeri e avambracci". "Qui - spiega Pietro Supino - inizia il lungo calvario che ci porterà fino a oggi". 
Un percorso durissimo, fatto di 40 giorni di Rianimazione, la vita appesa a un filo, la famiglia che può vederlo solo un'ora al giorno dall'altra parte del vetro. Alla fine, Mariano viene ricoverato a Chieti, sempre in Riamimazione, mentre i familiari iniziano un viaggio della speranza infinito, che passa per una clinica di Innsbruck, dove i medici riescono a recuperare alcune funzioni vitali. "Ma man mano che passava il tempo - ricorda il padre - ci si accorgeva che purtroppo lo stato vegetativo in cui versava era ormai quasi completamente acclarato. Da quel momento, la vita dell'intera famiglia è cambiata completamente". 
Mariano viene riportato nella sua casa di Chieti, dove i suoi infaticabili genitori lo accudiscono con amore, trasformando anche la casa di famiglia per adeguarla alle sue esigenze. Eppure, il dolore profondissimo per un figlio in stato vegetativo, non li allontana dalla beneficenza: papà Pietro fonda una cooperativa sociale, a disposizione di cittadini bisognosi di cure e assistenza, dove lavorano diversi giovani.

IL CASO ENGLARO - Una storia, insomma, molto simile a quella della giovane Eluana Englaro, per cui il padre lottò con ogni mezzo con l'obiettivo di staccare l'alimentazione forzata e lasciarla morire. Per questo Pietro Supino lancia un appello: "Le decisioni dovrebbe assumerle solo chi vive quotidianamente la tragedia, i familiari dovrebbero evitare di spettacolarizzare certi drammi e chiedere alle istituzioni maggiore impegno, soprattutto a sostegno delle famiglie che si occupano di questi casi e cioè i genitori, perché solo loro possono farsi carico di un così grande e pesante fardello". Ma il dramma di un genitori che vive da 18 anni accudendo il figlio in stato vegetativo, è soprattutto la paura del futuro: "Fino a quando due genitori, uno di 73 e l'altro di 76 anni, potranno accudirlo?". 
Ma c'è un peso ulteriore, denuncia l'infermiere in pensione, che grava sulle famiglie di persone in coma irreversibile. "Mio figlio ha intorno circa 7 persone fra infermieri, terapisti ed Oss, l'infermiere concesso dalla Asl in Adi (Assistenza domiciliare integrata) ogni 3 giorni e il terapista un'ora al dì. Il Comune di Chieti erogava per il sociale 3 ore a settimana, per un paziente che aveva bisogno di assistenza 24 ore su 24". Ma quelle 3 ore, oggi, non ci sono più.

NESSUN ASSISTENTE SOCIALE - "Non ci sono strutture pubbliche né private per questi pazienti - prosegue lo sfogo di Pietro Supino - In 18 anni non abbiamo mai ricevuto una visita di un assistente sociale del Comune, della Asl, della Provincia, della Regione. Mio figlio, oserei dire fra virgolette, si può ritenere 'fortunato' perché il padre è un infermiere, ma quanti altri giovani si trovano nelle medesime condizioni con genitori che non sanno dove sbattere la testa? Allora dico ai politici, queste sono le domande alle quali dovrebbero dare risposte e non polemizzare su comportamenti più o meno etici e legittimi dei genitori i quali, a mio avviso, sono autorizzati a fare tutto. Perché non ci si preoccupa - incalza - cosa sarà di questi soggetti dopo di noi, cioè dopo i genitori?!". 
L'appello di Supino è chiaro: sono inutili dibattiti e salotti televisivi, editoriali sull'etica e la vita. Sono i genitori ad accollarsi un dolore così grande, le spese e i sacrifici che comportano situazioni del genere. "I genitori - dice - sono gli unici che si preoccupano, soffrono, decidono quotidianamente, affrontando momenti e difficoltà di ogni genere, psicologiche, fisiche, economiche".

VENITE A CASA MIA - "Vi vorrei invitare a venire a casa mia - prosegue - per farvi vivere direttamente ed assistere come si svolge un'intera giornata con una situazione del genere". E infine conclude con un invito al ministro della Salute: "Suggerisca ai medici italiani di imparare a curare la morte'". 

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