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Cronaca Porto di Ancona

Porto di Ancona, la Procura sequestra tutta l'area dell'incendio: indagini a 360 gradi

Nell'inchiesta aperta dalla Procura, almeno per ora non ci sono indagati e si indaga a 360 gradi. Infatti non si esclude nessuna ipotesi, neppure quella dell'incendio doloso

Sequestrata l’intera area ex Tubimar del porto di Ancona dove, nella notte tra martedì e mercoledì scorso, si è scatenato l’incendio che ha distrutto 2 capannoni e un palazzo con uffici e locali per il deposito di merci. E' il primo importante atto firmato e notificato dalla Procura di Ancona dopo il fascicolo di indagine aperto con l’obiettivo di ricostruire le cause del rogo e valutare la tossicità della gigantesca cappa di fumo nera, provocata da un inferno capace di raggiungere almeno i 1.300 gradi centigradi. Un dubbio, quello che la nube potesse essere tossica, mai avuto dal Comune dorico, soprattutto dopo aver letto e diffuso i rassicuranti dati dell’Arpam. Fatto sta che il procuratore capo Monica Garulli e il pm titolare del fascicolo Irene Adelaide Bilotta, dopo il vertice di ieri, hanno dato alla polizia giudiziaria il compito di porre i sigilli a tutti i locali interessati dall’incendio, comprese le zone limitrofe: i parcheggi e le aree usate come deposito dei container. Gli investigatori hanno bisogno di impedire che qualcuno, ad esempio gli operai, si avvicini troppo a quella zona, inquinando eventuali prove. Anche se lì dentro ci sono ancora i vigili del fuoco per spegnere gli ultimi focolai. Una volta estinta anche la più piccola fiamma, sarà via libera per gli agenti di polizia della Squadra Mobile di Ancona che, guidati dal capo Carlo Pinto e supportati dai carabinieri del Noe, srotoleranno i nastri gialli intorno ai 40mila metri quadrati devastati dalle fiamme.

Il primo dubbio: i pannelli fotovoltaici 

Indagati non ce ne sono almeno per ora e si lavora a 360 gradi. Una delle prime ipotesi è stata quella di un corto circuito ai pannelli fotovoltaici installati sui tetti dei magazzini, per i quali era stata fatta una manutenzione pochi giorni prima. Ed è proprio per questo che l’azienda Weservice Soc.Coop. di Ancona, tramite la voce del suo A.d. Davide Picciafuoco, ha sempre escluso che ci possano essere stati problemi lì:

«E’ altamente improbabile, se non addirittura impossibile, che l’incendio possa essere dovuto ad un malfunzionamento dell’impianto fotovoltaico perché l’impianto, di notte, non ha tensioni in copertura, in quanto la corrente continua viene generata solamente nelle ore diurne. Inoltre durante la manutenzione, terminata il 12 settembre, avevamo isolato l’impianto, evitando la generazione di tensione al sorgere del sole». 

Non si esclude l’ipotesi dolosa 

Tuttavia gli inquirenti non escludono nulla. Neppure l’ipotesi del dolo, contemplato almeno per 2 motivi. Primo, non è assurdo che qualcuno possa aver avuto un movente per colpire l’imprenditoria del porto. Secondo, le telecamere di sorveglianza non avevano la possibilità di riprendere ogni centimetro quadrato del perimetro dell’area interessata dal rogo. Dunque non si può escludere a priori che qualcuno possa aver innescato la scintilla. Si indaga fittamente. I poliziotti lavorano h24, da una parte visionando a ripetizione i filmati delle spycam, dall’altra interrogando chiunque possa aver visto qualcosa. Già, perché adesso bisogna capire a tutti i costi una cosa: dove si trova con massima esattezza il punto di innesco dell’incendio. Fatta luce su questo, si potrà già capire se quelle fiamme alte anche 10 metri possano essere state create ad arte o possano essere il frutto di un incidente.

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