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Cronaca

I debitori non pagano e l'azienda fallisce, ex imprenditore a processo: «Vivo in un camper con i soldi di mio padre»

E’ la storia di un anconetano di 49 anni che deve affrontare un processo di fronte al tribunale collegiale di Ancona per bancarotta dopo aver visto fallire l'azienda dopo una serie di crediti mai incassati

Da una parte i debitori che non pagavano e dall’altra tutte le spese, tra cui gli stipendi dei dipendenti della sua ditta individuale. Strozzato dalla crisi, prima ha dovuto licenziare, poi dichiarare il fallimento dell’azienda. Ha perso tutto e mentre oggi si difende in un processo che lo vede imputato di bancarotta fraudolenta, si ritrova a vivere in una piccola roulotte e a pagare gli alimenti alla ex moglie con i soldi del padre. Vorrebbe ricominciare, ripartire dai piccoli lavoretti da elettricista da cui aveva preso il via a 14 anni. Ma non può farlo perché, per legge, non ha manco più la facoltà di aprire una partita iva. E’ la storia di Massimo Gambella, anconetano di 49 anni, che oggi si è presentato all’udienza del processo di fronte al tribunale collegiale di Ancona. Accompagnato dall’avvocato Laura Versace, era pronto a parlare di fronte ai giudici che però hanno rinviato l’udienza per un difetto di notifica. 

La testimonianza dell'ex imprenditore

«Ho perso la mia famiglia, mi sono separato, da 6 anni vivo in un camper da solo, quando ho i bambini mi appoggio a casa di un amico perché d’estate nel camper ci si sta bene ma d’inverno no - ha raccontato Gambella - Vivo giorno dopo giorno, cerco di pagare gli alimenti, una mano me la danno anche gli amici e mio padre che ha 77 anni e fa il barbiere. Non sono io che devo essere processato perché è il sistema che non mi ha tutelato visto che ho chiuso con 2 milioni e 200mila euro di crediti, soldi che se avessi avuto come mi spettava, ne sono certo, sarei andato avanti senza problemi. Invece sono venuti da me e hanno chiuso l’azienda in un minuto, non ho potuto neppure prendere le foto dei miei figli in ufficio e poi hanno venduto case da 200mila euro a 40mila euro. Questa è speculazione immobiliare e se speculazione doveva essere la facevo io, non lo Stato. Invece io sono fallito con più di 200mila euro di Iva a credito, faccia lei». 

L'accusa di bancarotta

E’ uno che si è fatto da solo Massimo. Dopo tanti anni di attività in proprio, aveva aperto la sua azienda nel settore del fotovoltaico con due sedi, una a Monsano e una a Civitavecchia, 4 appartamenti e 20 dipendenti. Una ditta da diversi milioni di euro di fatturato all’anno che però poi ha vissuto la crisi. Ma soprattutto ha visto maturare crediti per 2,3 milioni di euro. Soldi che privati ed enti pubblici gli dovevano e che, nonostante i decreti ingiuntivi, non sono mai arrivati. Nel 2011 sono scattati i licenziamenti, poi il fallimento e infine, nel maggio 2012, l’accusa di bancarotta fraudolenta. Per la Procura di Ancona, Massimo ha sottratto 266mila euro fino al fallimento della ditta e avrebbe distrutto libri contabili per impedire la ricostruzione del patrimonio e gli affari. Accuse rigettate dal legale difensore, subentrato nel procedimento penale una volta esaurita la pratica fallimentare. 

Il rifiuto di creare una Società a responsabilità limitata (Srl)

Ad aggravare la posizione di Massimo anche il fatto di non aver mai voluto creare una Srl per mantenere la sua come una ditta individuale in modo tale da rispondere personalmente di qualsiasi questione. Ma questo ha anche fatto sì che, di fronte, al fallimento, i creditori aggredissero il patrimonio personale. «Non l’ho mai attivato la società a responsabilità limitata proprio per rispondere personalmente di quello che facevo perché io vengo dal mondo dell’artigianato dove tu mi fai un lavoro e io ti pago. Fine. Ho sempre preferito lasciarla come ditta individuale come senso di responsabilità perché nella mia ottica non c’era nulla di cui dovevo tutelarmi. E invece…Forse valeva la pena fare una Srl, così fallivo, fregavo il prossimo ma almeno non finivo in queste condizioni, ma non mi pento e rifarei tutto quello che ho fatto perché poi alla fine penso che non è nelle mie corde fare qualcosa di diverso per fregare gli altri, penso che non ho sbagliato io, è sbagliato il sistema e allora o cambio paese o mi rimbocco le maniche e provo a ricominciare come sto già facendo». E se a processo dovesse arrivare una condanna?

«Sono a processo dal 2016 e ancora deve esserci una sentenza, ma tanto io sono rovinato da quando mi hanno accusato, la mia pena è iniziata quel giorno del 2012 e oggi non c’è più chi vince e chi perde. Sopravvivo, come un qualsiasi delinquente». 

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