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Cronaca

Giovane e donna, Erika volontaria da Ancona al Kenya: «Qui sono chirurgo in prima linea»

E’ l'avventura di Erika Palagonia, laureata in medicina e chirurgia a Torino e specializzanda in Urologia all’ospedale regionale Torrette di Ancona

Andare via da Ancona e dall’Italia per quasi un mese al fine di prendersi cura di chi, altrimenti, non riceverebbe neppure una diagnosi. Consapevole di poter affrontare interventi chirurgici da primo operatore, migliorando la vita di uomini e donne che, a differenza di quello che capita in Italia, non l’hanno mai giudicata né troppo donna, né troppo giovane. E’ stata questa l’esperienza di volontariato medico di Erika Palagonia, laureata in medicina e chirurgia a Torino, sua città di origine, e specializzanda in Urologia all’ospedale regionale Torrette di Ancona. C’era anche lei nel team di urologi arrivati l’11 gennaio scorso al North Kinangop Catholic Hospital, l’ospedale del Kenya dove vive una comune di centinaia di persone (QUI IL REPORTAGE). Guidata dal professore Bruno Frea (LEGGI L'INTERVISTA), nome altisonante nell’ambito dell’urologia italiana, il medico dorico ha risposto alla chiamata del volontariato. L’obiettivo? Temprare la propria formazione professionale in un paese in cui mancano tecnologia e macchinari, fuori dalla comfort zone delle linee guida sanitarie, per aiutare decine di malati in cerca di una condizione di vita migliore. 

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«Sono tornata qui dopo la prima esperienza di un anno e mezzo fa perché sapevo che, essendo al 4° anno di specializzazione, sarei potuta tornare nelle sale operatorie del Kenia aiutando ancora meglio i malati africani, dotata di 2 anni di formazione in più» ha raccontato proprio così Erika Palagonia la sua esperienza di volontariato in Africa. «La cosa che mi colpisce di più è la libertà con cui affrontiamo qualsiasi malattia urologica: non c’è bisogno di attendere grossi studi diagnostici, anche perché talvolta i malati non hanno soldi per pagarseli. Quindi ci si basa solo sulla clinica e sull’ispezione. Senza la pesantezza della burocrazia, bastano pochi esami di base, poi siamo chiamati a ragionare e a trovare una soluzione insieme».

Soluzione che, in un paese dove il salario medio di un lavoratore si aggira intorno ai 60 euro, è quasi sempre chirurgica. «Anche se il farmaco ha un costo accessibile, negli anni diventa una spesa, per cui i kenioti, a differenza degli europei, preferiscono sottoporsi ad un intervento in sala operatoria per spendere una cifra subito per una risposta immediatamente risolutiva. Inoltre è bello poter aiutare persone più svantaggiate, sapendo di poter fare del bene a chi magari aspetta mesi per una visita e ti guarda con la considerazione con cui si guarda qualsiasi medico. Siamo trattati con grande importanza dai pazienti e da tutta l’equipe dell’ospedale africano, con cui collaboriamo appieno». 

Così in poco meno di un mese, insieme ai colleghi Simone Agosti e Giulia Garelli, il camice bianco da Ancona ha analizzato oltre un centinaio di casi e operato 28 pazienti, di cui 18 da primo chirurgo. «Queste esperienze mi permettono di fare ciò che mi piace in maniera completa, libera da ogni vincolo e dalle insicurezze che si possono avere nelle sale operatorie italiane. In Africa ho potuto imparare molte cose nuove e metterle in pratica da subito. In Italia non è così semplice perché, oltre alle burocrazie sanitarie, ci sono tempi lunghi per la gavetta. Qui posso imparare un modo diverso di fare il medico, seguita da Bruno Frea che ha una grande voglia di insegnare e trasmettere la sua enorme esperienza. Posso abbracciare la totalità di questo lavoro, con l’obiettivo di diventare una brava chirurga urologa».

Dunque maggiore professionalità e più ampie competenze per la Palagonia che, dopo aver già trascorso 6 mesi in Belgio alla corte del professore Alexandre Mottrie, uno dei maggiori chirurghi robotici del mondo, sarà un potenziale anche per il reparto di Urologia dell’ospedale regionale di Ancona, dove è tornata a fare il suo lavoro. «Devo ringraziare il mio professore Andrea B. Galosi perché ha capito il potenziale di questa esperienza e, quando gli ho chiesto di partire, mi ha detto subito di sì».

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