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Cronaca

La disabilità visiva spiegata ai bambini, la psicoterapeuta Gargiulo: «Il problema non va evitato»

Maria Luisa Gargiulo ha recentemente scritto il libro “Come rendere comprensibile un testo”, una guida su come personalizzare un testo in modo da renderlo più facilmente comprensibile a chi è cieco o ipovedente

Un convegno sulla disabilità visiva, per spiegare a genitori ed educatori come affrontare l’argomento con i bambini affetti da questa menomazione. Un convegno organizzato dalla sede regionale dell’Irifor (Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione), che si è svolto sabato al museo tattile statale Omero nella Mole Vanvitelliana. “Se un bambino perde gradualmente la vista, gli si deve parlare, non fare finta di niente, sennò si sente solo – ha spiegato Maria Luisa Gargiulo, psicologa e terapeuta che da 20 anni si occupa di bambini e ragazzi in difficoltà -. Evitare un argomento non sempre vuol dire proteggere perché il bambino in questo caso comunque ne fa esperienza e sa di non vedere bene, però sta zitto per paura e vergogna. Quindi abbiamo un genitore che sa e sta in silenzio sperando che il figlio non se ne accorga, e un bambino che sa e sta in silenzio sperando che il genitore non se ne accorga. Ed entrambi vivono quella esperienza da soli”. Poi, la psicologa ha illustrato tutte quelle bugie frequenti che i genitori utilizzano per edulcorare la situazione, ad esempio: “Se hai perso a tennis è perché l’altro bambino era più bravo, non perché tu non hai visto la pallina”. Bugie che non vanno dette, secondo la psicologa: “Di fronte alla disabilità non possiamo permetterci di vergognarci”. 

Maria Luisa Gargiulo ha recentemente scritto il libro “Come rendere comprensibile un testo”, una guida su come personalizzare un testo in modo da renderlo più facilmente comprensibile a chi è cieco o ipovedente. Per un ipovedente, in genere si pone in terza o quarta elementare, ossia quando la scrittura diventa più piccola, la necessità di adottare testi diversi da quelli dei compagni di classe. “E molti bambini si vergognano di avere un libro differente”, hanno fatto presente le mamme. “Non ci sono mezzi belli e brutti – la replica della Gargiulo –ma solo mezzi che ti portano a raggiungere risultati migliori o peggiori. Una persona disabile si deve abituare ad avere strumenti diversi se vuole fare le stesse cose degli altri con gli stessi risultati”. 

Anche la scuola potrebbe aiutare il ragazzo ad accettare la propria situazione offrendogli un ambiente accogliente, in cui la disabilità non viene enfatizzata ma vissuta come normale dall’intera classe. Ne sono esempio le tradizionali lettere appese alle pareti alle elementari per imparare a leggere. Nelle classi con studenti ciechi o ipovedenti queste lettere dovrebbero essere in due codici:  in nero e in brail, ai ragazzi con menomazione visiva sarà insegnato a scrivere alcune cose in nero, e gli altri bambini faranno esperienza del codice brail. “Così non si creano distanze, anzi è un arricchimento per tutti i bambini”, sostiene Emanuela Storani, esperta di orientamento e mobilità per minorati della vista. Tra il dire e il fare, però, ci sono a volte di mezzo strumenti non adatti. Perché i casi di disabilità sensoriale nelle scuole sono rari e così gli istituti non hanno convenienza ad acquistare tecnologie costose seppur utilissime a consentire il corretto apprendimento delle lezioni. In particolare, sarebbero utili le fotocopiatrici che traducono le immagini in rilievo, ma costano mille euro l’una, più un euro a foglio, e nessun istituto ce le ha. “In genere, le insegnanti ricorrono a disegni per fare comprendere meglio le lezioni e i testi scolastici sono pieni di figure colorate – continua Storani -.  In mancanza delle fotocopiatrici che mettono in rilievo queste immagini, deve essere brava l’insegnante di sostegno a stimolare i bambini verbalmente, descrivendo l’immagine. Ma ci deve essere la collaborazione delle insegnanti di classe, che devono programmare per tempo la lezione in modo che l’insegnante di sostegno possa prepararsi”.

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