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Cronaca

Reati di genere oltre il 40% in più, Procuratore Sottani: «Attenzione a leggere questo dato»

In occasione del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, il Procuratore Generale della Corte d'Appello delle Marche Sergio Sottani dà un quadro della situazione nella provincia di Ancona

Gli ultimi dati statistici negli archivi della Procura Generale della Corte d’Appello delle Marche dicono che sulla provincia di Ancona, dal 1 luglio 2019 al 30 giugno 2020, i casi denunciati di stalking in generale sono poco meno di 150 (+10% rispetto allo stesso periodo preso in esame: luglio 2018-giugno 2019); i delitti contro la libertà sessuale sono 80 (+ 20%) e i reati di genere quali atti persecutori e maltrattamenti sono arrivati a 850 (oltre il 40% in più). Parte da questi dati il Procuratore Generale della Corte d'Appello delle Marche Sergio Sottani per fare un quadro del problema della violenza sulle donne nell'anconetano, a meno di un anno e mezzo dalla legge sul Codice Rosso:

«Di per sé, l’aumento delle denunce non è necessariamente un fatto negativo. Mi spiego. Il fenomeno di violenza spesso è un reato nascosto e di difficile denuncia per svariati motivi: la vergogna del fallimento da parte della vittima, la paura di ripercussioni, il fatto di non essere portati ad aprirsi e confidarsi. Sono troppi i numeri di questi reati odiosi, sono numerosi i casi segnalati e su questo non c’è dubbio, ma di per sé non è un dato negativo purché dimostri una maggiore capacità di emersione di un fenomeno, i cui dati segnalati restano numerosi».

Le associazioni che lavorano nel campo del sostegno alle vittime di violenza di genere avevano anche messo in guardia di fronte ai periodi di lockdown. Questi numeri possono aver visto un’impennata anche per questo? «Sicuramente. Nel primo periodo di Lockdown, in provincia di Ancona e nelle Marche c’è stato un significativo aumento in linea con i numeri nazionali». 

Dunque questi momenti di “chiusura” anti Covid non aiutano le vittime vero? «Direi proprio di no perché, avendo imposto una convivenza forzata, ha anche reso più difficile quelle forme di tutela che vengono adottate immediatamente per interrompere questa forma di reato, come l’allontanamento dalla casa familiare o il semplice recarsi in una stazione dei carabinieri per fare sporgere denuncia». 

Ma ad Ancona c’è un allarme reati di genere? «I reati sono ancora numerosi, il che significa che dobbiamo lavorare molto per far sì che la cultura elimini tutto ciò che genera queste forme di criminalità. Detto questo, ho visto che tutte le procure del distretto hanno adottato dei protocolli. Serve intercettare i campanelli di allarme e intervenire subito per tutelare la donna che denuncia». 

A proposito, la legge sul codice rosso ha aiutato le Procure? «Direi di sì, il codice rosso è stata un’arma in più sotto questo profilo: ha indicato la necessità di intervenire immediatamente. Non  che prima non lo si facesse ma adesso c’è una maggiore sensibilizzazione. Le Procure che erano già attente hanno avuto la possibilità di intervenire ancora più velocemente, quelle che prima non avevano adottato una serie di interventi, sono state costrette ad adottarli. Ma le Marche sono sempre state abbastanza attente, tanto che già nel 2017 avevamo adottato un protocollo ad hoc che consisteva nell’adottare tutta una attività che prescinde dalla denuncia e che serve a mettere in sicurezza la donna, facendo rete non solo tra le Procure, ma anche enti locali, Servizi sociali, centri di ascolto e centri anti violenza».  

Lei ha parlato anche di fondatezza delle denunce, ma sono tante le denunce da parte di chi poi viene ritenuto inattendibile? «No, la percentuale prevalente è assolutamente di denunce fondate. E’ evidente che, soprattutto nelle situazioni conflittuali, magari durante una separazione, bisogna fare attenzione alle denunce strumentali, è altrettanto vero che spesso la violenza fra le mura domestiche è di difficile riscontro, quindi conta molto la parola della donna, però possibilità di riscontro ci sono: certificati medici, testimonianze, confidenze. Importante è che la donna parli e il nostro protocollo, come anche il codice rosso, servono proprio a superare questo argine e agevolare le donna nel denunciare. La donna deve poter parlare, possibilmente in un contesto familiare, ma se non c’è questo ci devono arrivare le istituzioni capaci di raccoglierne la denuncia». 

Ma il codice rosso non ha avuto alcune controindicazione nel lavoro dei magistrati? «Sicuramente ci sono stati problemi di immediata applicazione. Penso all’obbligo di ascoltare subito la vittima che ha fatto denuncia, ma non sempre questa è una cosa positiva perché rischia di riaprire troppo spesso ferite (la vittimizzazione secondaria) e allora oltre all’appesantimento burocratico per chi indaga e non necessariamente utile per la vittima. A parte questo, in generale ha dato possibilità di intervento immediato, dando anche il segnale da parte dichi si impegna per eliminarli questi reati».

I reati di genere così non diventano più importanti di altri? Non si rischia di creare reati più reati di altri? «Questo è il problema di un sistema che fa fatica per il numero di reati a dare soddisfazioni in tempi rapidi. E’ un problema della rapidità dei processi è prioritario in Italia e una delle risposta trovata è quella di creare dei reati così detti prioritari. Ma sono scelte del Legislatore. Personalmente penso che il fenomeno sia così grave da meritare questo tipo di attenzione». 

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