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Psicologia della notizia

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A cura di Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona

Molestie sessuali e violenza di genere, come intervenire sugli uomini

Per prevenire situazioni violente, per saper riconoscere la violenza in genere e di genere è necessario che intervengano una serie di attori che collaborino tra loro

Ensi, rapper italiano, nel testo della sua canzone “Uomini Contro”, descrive il concetto di violenza sulla donne affrontando la tematica da un diverso punto di vista: la violenza sulle donne ha il proprio fulcro nell’uomo. Le molestie sessuali emerse a livello mondiale in questo periodo, fondate o meno, accertate o meno, dipingono un quadro spettrale: l’uomo è una bestia, un mostro e deve essere punito, stigmatizzato, isolato. Deve creare disgusto, essere percepito come diverso dalla società in cui tutti noi siamo inseriti, deve essere “una mela marcia” al quale addossare ogni colpa, per renderci liberi da questo profilo terribile, per farci sentire migliori, perché “lui è diverso, lui non è come noi”.

E’ vero, se parliamo di psicopatologie, malattie mentali o comportamenti legati ad abusi di sostanze e di alcool, se parliamo di “devianza” da comportamenti sociali che riconosciamo, potremmo giustificarci in questo modo.

Ma la verità è un’altra: la persona violenta è in mezzo a noi, potremmo essere noi. Il livello culturale della società in cui siamo inseriti accetta la violenza nella misura in cui non la riconosce. Perciò necessitiamo di una riflessione, profonda e razionale: qual è il livello per cui riteniamo un gesto, un’espressione verbale, una pressione psicologica essere effettivamente un atto di violenza? Quando uno schiaffo dato per “insegnare”, delle parole urlate, la gelosia verso qualcuno che si ama, diviene violenza?

Finché viviamo una serie di comportamenti che attengono una violenza quotidiana in contesti amicali e famigliari in cui siamo inseriti, non saremo mai in grado di riconoscerli come tali perché li accettiamo. E questa è la normalità, è per questo che cerchiamo il Mostro: siamo generatori di violenza. Accettiamo, ad esempio, senza un’efficace critica o autocritica una serie di messaggi pubblicitari (sessisti e carichi di stereotipi di genere) che non fanno altro che “alzare l’asticella” di accettazione di comportamenti violenti e discriminatori, non solo da un punto di vista della differenza di genere. Ma cosa significa alzare l’asticella? Vuol dire avere un parametro molto alto prima di considerare un comportamento come violento. La conflittualità tra persone, se gestita nel senso di sviluppo di nuove soluzioni, di sincero e vivo confronto, è un atto costruttivo, a volte necessario. La rabbia è un’emozione insita in tutte le categorie umane (uomini, donne, bambini, anziani, sportivi, etc..): nel momento in cui questa, che è una dei motori che ci spinge all’azione, diviene motivazione e giustificazione di un comportamento di prevaricazione e di sopraffazione, allora diviene violenza.

La violenza non è un raptus, non è una successione di atti continui che si giustificano mediante l’assenza di coscienza e di controllo, ma è una mancanza di risposte adeguate alla persona che si ha davanti, alla persona amata, o che si dovrebbe rispettare e accudire.

La necessità di affrontare con una così forte dose di realtà la tematica della violenza, non giustificarla perché “è un mostro che la commette”, non credere che dipenda solamente dalla tipologia sessuale o dalla “pazzia” di un momento, fa si che inizi un percorso di cambiamento del paradigma culturale che è insito nella nostra società: sono una persona che accetta la violenza? Mi rendo conto se le mie azioni, anche nel limite della legislazione del mio paese, in realtà sono atti violenti? Rispetto le persone con cui mi relaziono? Reputo fondamentale l’eguaglianza tra i sessi?

Per prevenire situazioni violente, per saper riconoscere la violenza in genere e di genere, che grazie anche ai mass media sta divenendo sempre più quotidiana e quindi attaccabile e riconoscibile, è necessario che intervengano una serie di attori che collaborino tra loro: chiaramente fondamentali sono le forze dell’ordine e le istituzioni e i centri antiviolenza che prendono in carico, proteggono e forniscono sostegno alle donne maltrattate, ma al contempo è necessario che si lavori sinergicamente, in rete, anche con centri che prendano in carico il maschio che maltratta, che non riconosce i propri gesti di violenza. Credo che nell’ottica di cambiamento dell’interpretazione della violenza, si passi anche dalla necessaria azione di mutamento nei maschi che hanno agito le diverse tipologie di violenza (fisica, psicologica, economica, etc..) alle proprie partner, ex partner o famigliari.

In Italia, negli ultimi 4 anni, si sono sviluppati tutta una serie di progetti che, con spettro territoriale, prendono in carico il maschio maltrattante. Il centro CTM di Forlì, insieme al Progetto Voce di Ancona e il progetto Muoviti di Ravenna, sono tre, tra alcuni centri italiani, che sinergicamente tra loro e con le realtà dei rispettivi territori, intervengono sia sul maltrattante mediante apposita terapia e sia con la cittadinanza, tramite azioni di sensibilizzazione e confronto.

Un cambiamento è doveroso, non solamente auspicabile, ma realizzabile. Il passo fondamentale è non mettere la testa sotto la sabbia e addossare la colpa ad un mostro esterno, ma prendere attivamente parte al cambiamento culturale, che si ottiene lavorando insieme, donne e uomini.

Dott. Andrea Montesi: Psicologo - Coordinatore IPSE di Ancona, Fondatore CTM di Forlì, Collaboratore Ial Marche Srl

Per dialogare con gli psicologi di Ipse Ancona, scrivere a ipse@poliarte.org

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