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Psicologia della notizia

Psicologia della notizia

A cura di Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona

Cosa accade nella mente durante un terremoto

Cosa accade nella mente durante un terremoto? Le tre fasi psicologiche e comportamentali che si susseguono durante una scossa

La prima è quella del rifiuto. Le sue manifestazioni classiche sono la risata (o il silenzio) e il ritardo. Un esempio ci è dato dall’evento del Trade Center. I superstiti hanno aspettato sei minuti prima di raggiungere le scale, il tempo di attesa di alcuni è stato di quarantacinque minuti e un migliaio di persone si concesse il tempo di spegnere il computer prima di abbandonare il luogo. Perché ritardiamo la fuga in momenti così pericolosi? Si attiva quella che viene chiamata la “tendenza alla normalità”, cioè abbiamo la credenza che tutto vada bene perché è andata sempre così fino a quel momento. Il nostro cervello funziona per modelli, ovvero utilizza le informazioni del passato, quindi di esperienze già vissute, per comprendere il presente e per prevedere il futuro. A volte però, nel caso di eccezioni come un evento calamitoso, facciamo fatica a recuperare alcune informazioni perché magari non le abbiamo in un modello chiaro che serve per attuare la giusta soluzione, per cui le persone “bighellonano” alla ricerca di informazioni per capire cosa sta succedendo (osservano gli altri, ascoltano le persone presenti sul luogo, valutano la situazione, …). Questo, ovviamente, richiede del tempo che a volte è estremamente troppo lungo per la situazione che si sta vivendo.

La seconda fase è quella della deliberazione. Sappiamo che sta per accadere qualcosa di anomalo ma non sappiamo che cosa fare. Cosa ci spinge a decidere e a reagire? In questa fase dove abbiamo capito a quale pericolo ci troviamo di fronte, la paura raggiunge il picco. Essa, in situazione di emergenza, assume un ruolo importante poiché ci prepara all’attacco o alla fuga. Ma per ogni capacità che ci sviluppa se ne porta via un’altra. Per esempio, i nostri muscoli diventano tesi, il nostro organismo produce antidolorifici naturali, ma la capacità di ragionare e percepire diminuisce, il cortisolo interferisce con le funzioni di pensiero complesso, per cui spesso non siamo neanche in grado di risolvere problemi semplici. Per cui siamo pronti fisicamente ma abbiamo difficoltà a ragionare sul come intervenire e sul cosa fare. In questa fase, alcuni di noi acquisiamo alcuni poteri e altri ne perdiamo. Alcune persone subiscono la visione tubolare, ovvero il loro campo visivo diminuisce del settanta per cento al punto che in alcuni casi hanno la sensazione di osservare il mondo dal buco di una serratura. Altre persone possono avere una riduzione del campo uditivo, quindi alcuni suoni diventano muti e altri più forti rispetto alla realtà. Un aspetto interessante è la sensazione del tempo che rallenta. Durante un terremoto abbiamo la sensazione che la scossa non finisca mai. Attraverso uno studio fatto nel 2006 si è arrivati alla conclusione che la distorsione temporale esiste solo nella nostra mente. Il trauma crea un’impressione talmente eccitante nel nostro cervello che, a posteriori, tutto ci sembra sia accaduto al rallentatore.

La terza fase è quella del momento decisivo: abbiamo accettato di essere in pericolo, abbiamo valutato le nostre possibilità, ora entriamo in azione. Questa fase include, quindi, ciò che è venuto prima e determina ciò che verrà dopo. In questa fase si può assistere alla messa in atto di azioni pericolose, azioni collettive, azioni individuali, azioni prosociali e alla presenza di panico. Le emergenze non sviluppano in automatico il panico. Esso si verifica se, e solo se, sono presenti tre requisiti: il primo, le persone devono avere la sensazione di rischiare di rimanere in trappola. È sufficiente solo avere la sensazione. Il secondo, il panico richiede una sensazione di grande impotenza. Essa spesso scaturisce dall’interazione con gli altri. Il terzo, è un profondo senso di isolamento per cui potremmo essere salvati ma poiché tutti attorno a noi si sentono impotenti, nessuno lo farà e ci sentiremo per questo soli. Il panico può essere catastrofico ma è uno degli errori umani più evitabili. Se i luoghi di incontri di massa vengono progettati sulla base della fisica, i prequisiti sopra descritti non si dovrebbero sviluppare. In alcune persone, durante un disastro, si assiste anche a quello che viene chiamato freezing, ovvero congelamento. Questo comportamento di paralisi viene fatto risalire all’adattamento evolutivo. Si è visto che gli animali che si paralizzano hanno migliori possibilità di sopravvivenza a certi tipi di attacchi. Un predatore, come può essere un leone, ha più possibilità di sopravvivere se evita di mangiare prede malate o in stato di decomposizione. Perde interesse per le prede che non lottano e le associano a una situazione di debolezza e malattia. Ecco dunque che le prede, a loro volta, si sono evolute simulando la morte o la malattia quando sono in trappola e non hanno la possibilità di salvarsi.

In uno studio avvenuto nel 2009 dalla sottoscritta, è stato chiesto ai cittadini di Fabriano (cento partecipanti alla ricerca) cosa hanno fatto quando hanno percepito la scossa di terremoto (terremoto Umbria-Marche del 1997). Il 38% del campione ha messo in atto un comportamento di fuga, il 22% si è “paralizzato”, il 12% ha ricercato riparo sul posto in cui si trovava, il 10% non si è reso conto della scossa, il 7% ha ricercato informazioni relative all’evento, il 7% ha cercato di contattare familiari e intrapreso comportamenti di protezione e il 4% ha cercato di recuperare i propri beni o ha continuato a svolgere le proprie attività quotidiane.

Quando le persone ritengono che la sopravvivenza sia in qualche modo negoziabile, possono diventare straordinariamente creative. Tutto quello che serve è l’audacia di immaginare che il nostro comportamento conti. Può accadere in un attimo …

Dr.ssa Valeria Catufi, psicologa clinica, psicologa dell’Emergenza SIPEM SoS Marche, psicoterapeuta CBT in formazione, psicologa collaboratrice IPSE Ancona

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