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Psicologia della notizia

Psicologia della notizia

A cura di Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona

Quanto costa la violenza di genere?

La violenza di genere è una realtà in cui tutti perdono e che la società non può accettare, sia da un punto di vista morale e umano, sia da un punto di vista economico

E’ appena trascorsa la giornata mondiale de “LOTTO MARZO”, dedicata all’autodeterminazione femminile, il giorno che sottolinea, più di altri, l’importanza di dare voce alla protesta, alle idee e alla possibilità di cambiamento, in cui le donne di tutto il mondo (e non solamente italiane), diventano assolute protagoniste di questo movimento che esclama a gran voce l’assurdità delle differenze e delle violenze di genere nei vari ambiti della vita - familiare, professionale, culturale -.

La giornata è stata caratterizzata da manifestazioni supportate da slogan e megafoni, da marce, da attività sportive e di attività differenti, come i flashmob; ma in ogni caso, in ogni  evento, si sono innalzati e letti striscioni che, come invisibili e resilienti fili, hanno ipoteticamente unito tutte le piazze d’Italia. E proprio uno di questi, un lenzuolo bianco con un scritta rossa e nera, creato dal movimento  #nonunadimeno, ha catturato la mia attenzione. Non perché gli altri fossero di minor valore o di minor interesse, ma perché  ne amplia la chiave di lettura: “Contro le molestie sul lavoro e contro il lavoro molesto”. Questo mi ha riportato in mente la ricerca di Intervita Onlus redatta nel 2013, intitolata “Quanto costa il silenzio”, in cui i ricercatori cercano di stimare l’effettivo costo, in termini economici (oltre che chiaramente sociali e personali), della violenza di genere. Non capita spesso di soffermarci sulle le implicazioni economiche - oltre che psicologiche, personali, sociali e umane-  che derivano dalla violenza di genere, in quanto il nostro focus si orienta sul fatto, sull’evento, e sugli attori in causa, sulla vittima e sul maltrattante, o al massimo allarga l’obiettivo della nostra attenzione ai più stretti familiari (genitori, figli). Ma realtà è diversa: il costo della violenza, è un costo che ricade su tutta la società, è un macigno che frana su tutta la collettività che per cultura, paura o immobilismo, solamente da qualche anno a questa parte sta cercando di porre un freno, un limite a tali episodi.

La ricerca, che a distanza di anni e di interventi effettuati con leggi e voci a bilancio da parte del governo dovrebbe avere ora dei valori differenti, attesta che il costo della violenza è di quasi 17 miliardi di euro. E le voci che compongono la spesa, riguardano innanzitutto costi immediati per il sistema che i vari servizi, pubblici e privati, ovvero Stato, vittime e aziende, devono sostenere a seguito degli episodi di violenza di genere:  costi per salute delle vittime ( costi per accessi alle cure, costi per l’acquisto dei farmaci, costi per le cure psicologiche), costi per la sicurezza (costi dei procedimenti giudiziari e per le Forze dell’Ordine, costi per le spese legali), costi per l’assistenza alle vittime e ai familiari (costi dei servizi sociali del comune e per i centri antiviolenza) e costi per la mancata produttività. Questo ultimo costo viene espresso, in modo indiretto, dal lenzuolo bianco, rosso e nero di prima: la violenza di genere, che comprende anche le molestie sul lavoro, crea quindi anche una diminuzione della produttività aziendale, in termini di assenze prolungate dal lavoro della vittima, i quali si trasformano in una riduzione del reddito a disposizione per le famiglie e minori entrate tributarie e contributive.

Ciò rende evidente, ancor di più, che la violenza di genere è una realtà in cui tutti perdono e che la società non può accettare, sia da un punto di vista morale e umano, sia da un punto di vista economico. Una condivisione di prospettive, attività di prevenzione e di azioni comuni (donne e uomini) mirate  ad una modifica del paradigma culturale e degli stereotipi di genere ad esso collegati, potrebbero realizzare un miglioramento della qualità della vita, prima per le donne, poi per tutta la collettività, in un’ottica di eguaglianza di ruolo. Le prime vittima della violenza di genere sono le donne e le persone ad esse strettamente collegate, le seconde sono le persone del tessuto sociale che non si accorgono che il cambiamento non è solo auspicabile, ma necessario.

Dott. Andrea  Montesi: Psicologo - Coordinatore IPSE di Ancona, co-fondatore CTM di Forlì, Collaboratore Ial Marche Srl

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