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Psicologia della notizia

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A cura di Istituto Europeo di Psicologia ed Ergonomia (IPSE) di Ancona

Degrado urbano, ecco perchè può incentivare la criminalità

Numerose ricerche, condotte da psicologi ambientali, architetti, sociologi e criminologi, hanno indagato sulle relazioni tra degrado urbano, il senso di insicurezza dei cittadini, la paura della criminalità e l'aumento del numero dei reati

Cartacce e bottiglie gettate per terra, muri imbrattati, vicoli maleodoranti, panchine rotte in spazi verdi incolti. Scene di degrado di questo tipo sono esperienze, purtroppo, quotidiane in città. A volte non ci si fa più caso ma, per la maggior parte delle persone percorrere luoghi sporchi e deteriorati provoca un senso di incertezza e alimenta la paura di essere più esposta ad atti criminali.

Numerose ricerche, condotte da psicologi ambientali, architetti, sociologi e criminologi, hanno indagato sulle relazioni tra degrado urbano, il senso di insicurezza dei cittadini, la paura della criminalità e l’aumento del numero dei reati.

Tra queste la “Broken Windows Theory” (la teoria dei vetri rotti) di Wilson e Kelling, recentemente sottoposta a una nuova valutazione empirica.

Gli autori richiamano, a titolo di esempio, un famoso esperimento condotto da uno psicologo statunitense, Philip Zimbardo: lasciare un’auto incustodita, senza targa e con il cofano alzato, in due realtà urbane americane caratterizzate da condizioni economiche e sociali fortemente diverse ed osservare come i residenti avessero reagito. Nel Bronx, in sole ventiquattro ore l’auto era ridotta una carcassa, privata di tutti i componenti. Nell’altra città, Palo Alto in California, per una settimana l’auto rimase intatta perché nessuno si era avvicinato. Zimbardo allora con una mazza assestò alcuni colpi alla carrozzeria. Dopo alcuni giorni la macchina fece la fine di quella del Bronx.

L’esperimento suggerisce che se in una zona si diffondono segni di inciviltà materiale, vale a dire di degrado dell’ambiente, è probabile che si sviluppi un effetto moltiplicatore del disordine stesso. In assenza di interventi i residenti percepiscono un cedimento delle regole, un senso di abbandono, gradualmente si disaffezionano e tendono a deresponsabilizzarsi.

Secondo i due autori si può innescare un circolo vizioso: una situazione di disordine sociale può generare una comunità insicura e impaurita che diventa sempre meno coesa e poco radicata al quartiere, determinando un peggioramento della qualità della vita e un aumento dei reati. L’aspetto interessante di questo studio, spesso poco evidenziato, è che non sono tanto i segni di inciviltà in sé a generare insicurezza e poi paura, ma il tempo che passa prima che tale segnale di degrado venga riparato. Il cestino incendiato, l’insegna divelta, il sottopasso sporco su cui non si interviene tempestivamente e che rimangono così per mesi o anni possono creare un effetto contagioso propagando disordine, insicurezza e paura a macchia d’olio, una spirale verso il basso.

Il quadro fatto sembrerebbe spiazzante e senza speranza: incuria e degrado cronicizzati, demoralizzazione e rassegnazione, insicurezza e paura, crimine. Come intervenire? La risposta più immediata che a tutti viene in mente è aumentare il controllo da parte delle istituzioni, rafforzare forze dell’ordine e sanzioni. In realtà proprio tali studi evidenziano come il controllo sociale endogeno alla comunità, non tanto quello portato dall’esterno, può interrompere il circolo vizioso degrado-criminalità.

La “Collective efficacy” (l’efficacia collettiva) vale a dire la coesione tra i residenti che alimentano la loro appartenenza e il radicamento al quartiere attivandosi su questioni di interesse comune e partecipando con gesti riparatori di “cura del proprio territorio è la chiave di volta per la soluzione del problema. Onore al merito allora a tutte quelle associazioni, comitati e gruppi volontari che sistemano aiuole, portano alla luce percorsi pedonali dimenticati, trasformano in opere d’arte sottopassi…o più semplicemente tutti quei cittadini che raccolgono la bottiglietta gettata a terra da qualcuno a due passi dal cestino.

Catia Mengucci - Dott.ssa in Scienze Psicologiche dell’Intervento clinico - Esperta in Psicologia dell’Abitare - Collaboratrice di IPSE Ancona Vuoi contattare gli psicologi di IPSE Ancona? Scrivi a: ipse@poliarte.org

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