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Professionisti del giornalismo videoludico. Valentino Cinefra si racconta: «Il videogioco è il linguaggio del futuro»

E' jesino ed ha 34 anni. Valentino Cinefra da un decennio racconta il videogioco in tutte le sue declinazioni. Con lui abbiamo fatto una piacevole chiacchierata

JESI - Nel giorno in cui l'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli decide di chiudere le sale eSport e LAN per la presunta concorrenza sleale ai danni delle sale giochi a gettoni (comprese le slot machine), abbiamo deciso di mostrarvi parte di quel mondo o, forse è più preciso dire, la parte del racconto, quella più aderente al nostro lavoro di giornalisti. Lo abbiamo fatto coinvolgendo un professionista del territorio che, da oltre 10 anni, collabora con le più importanti testate videoludiche del Paese. Si chiama Valentino Cinefra, ha 34 anni ed è nato a Jesi. Attualmente scrive per SpazioGames.it e collabora in pianta stabile con Tom’s Hardware. Negli anni ha lavorato per BadTaste.it e Player.it, oltre ad aver partecipato alla nascita (e sviluppo) di VideoGamer Italia.

Una premessa: cos'è il giornalismo videoludico

Avete poca dimestichezza con l'argomento? Proviamo in poche righe a spiegarvi di cosa stiamo parlando. Quando si parla di giornalismo videoludico intendiamo tutta quell'attività editoriale legata al mondo dei videogiochi. Oggi la definizione è molto ampia, ma volendo riassumere si tratta di produrre contenuti divulgativi (analisi, report e critica) sull’industria del videogioco. Mediamente in un sito specializzato si trovano notizie, recensioni, interviste, approfondimenti focalizzati su un tema, e le controparti video su YouTube ed i social. Oppure contenuti video pensati ad hoc per essere intercettati, ed assimilati, con più facilità dal pubblico dei social network in particolare. Da un po’ di anni tutte le testate videoludiche più importanti hanno anche un canale Twitch, dove si trasla il lavoro giornaliero del sito ma in chiave live streaming. Non si mostrano soltanto i giochi, ma si fanno chiacchierate con gli utenti che possono essere formali o informali, si invitano ospiti, e tanto altro. 

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Scrivere di videogiochi è un lavoro?

Associare il termine videogioco a qualcosa di fanciullesco, da fare soltanto nel tempo libero, è un errore fin troppo comune. Oggi l’indotto videoludico comprende tanti professionisti e il tema del “lavorare con i videogiochi” ha tante declinazioni. «Volendoci limitare solo al discorso editoria - esordisce Valentino - è ancora difficile far passare il messaggio che questo è un lavoro normale, come ogni altro ambito giornalistico. Il nome “videogiochi” è ancora associato ad un’attività fanciullesca ma, come il cinema, il medium videogioco ha uno spettro di tematiche ed esperienze spesso ben lontane dall’idea di giocare nel tempo libero, e basta». Per Valentino il videogioco è il linguaggio del futuro. Il perchè ce lo spiega molto bene «I suoi stilemi - continua - vengono utilizzati nel marketing, in sceneggiatura per il cinema e la tv (non mi riferisco ai film tratti da franchise videoludici), e anche la psicologia li utilizza per studiare i comportamenti umani, giusto per fare qualche esempio. Videogiochi come Fortnite sono capaci di catalizzare l’attenzione di tutto il mondo, durante gli eventi più importanti. Lo stesso concetto di Metaverso, tanto caro al mondo del business digitale e della finanza 4.0, non è altro che la trasposizione di ciò che i videogiocatori fanno da decenni quando giocano a titoli come World of Warcraft, o simili piattaforme online che accolgono ogni giorno milioni di giocatori e le loro “seconde vite”». Con Valentino abbiamo affrontato anche il tema del precariato. «Nell’epoca delle riviste cartacee si faceva impresa - ci spiega - pertanto c’erano investimenti tali per cui il lavoro del giornalista videoludico era pagato adeguatamente. Con il passaggio al web non c’è stato il relativo passaggio di capacità imprenditoriale. La barriera all’ingresso, praticamente inesistente, non ha aiutato nei primi anni dell’editoria online a creare un sistema economico degno di supportare chi ne fa parte. Tra chi lavora per passione, il dilettantismo di realtà che si sono imposte come professionali pur non essendolo, la piaga di chi accetta di lavorare gratis pur di avere la propria firma, e gli investimenti calati a picco (nonostante il gaming sia un settore in costante crescita), quello del giornalismo videoludico è oggi un lavoro vero, inteso come impegno richiesto per farlo con dignità e professionalità, ma non sufficientemente remunerato. Da qui a 10 anni le realtà editoriali dedicate ai videogiochi saranno sempre di meno, e quelle che rimarranno dovranno adottare anche tematiche più popolari (cinema e serie tv in primis) per poter sopravvivere, trasformandosi in contenitori di cultura pop».

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Il gioco come rappresentazione sociale

I videogiochi possono rappresentare uno spazio sicuro per parlare di problemi sociali, affrontare traumi personali, o diventare uno strumento per capire meglio sé stessi? Per Valentino Cinefra è proprio così: «Grazie all’innata capacità di immedesimazione che è in grado di veicolare il videogioco: l’unico medium di intrattenimento che, attraverso l’interazione diretta con il prodotto, è in grado di mettere l’utente attivamente al centro della narrazione e dei suoi temi. Raccontare questo mondo così ampio, e in continua evoluzione, con attenzione e la sana voglia di divulgare, è fondamentale. Significa saper interpretare il futuro della comunicazione, intercettare fenomeni sociali e, perché no, trovare anche nuove frontiere del business».

Formazione e consigli su come farne una professione

Valentino ci ha spiegato che non esistono vere e proprie scuole di giornalismo videoludico. «Ogni tanto ne spuntano fuori, ma non le consiglio. Nessun professionista, in Italia e nel mondo, si è mai formato in una “scuola di giornalismo videoludico”, pertanto difficilmente esisteranno mai percorsi di formazione. Si può studiare comunicazione o giornalismo per avere le capacità necessarie a creare contenuti interessanti, per poi studiare autonomamente il mondo dei videogiochi. Uno studio che raramente passa dal “giocare tanto ai videogiochi”. Bisogna prima di tutto avere un forte approccio attivo al medium, andare oltre il semplice giudizio personale e sviluppare un senso critico. Per rubare una frase al collega Francesco Serino: difficilmente chi gioca solo ai videogiochi nella vita capisce realmente qualcosa di videogiochi». Consiglierei a qualcuno di fare il giornalista videoludico? «Sì, a patto di sapere che non sarà mai l’unica attività con cui potrà avere uno stipendio con cui vivere. Oggi pochissimi giornalisti videoludici (faccio onestamente fatica ad arrivare a più di tre nomi) vivono solamente scrivendo di videogiochi. La professione oggi contiene molte attività al suo interno, e spesso la scrittura è una minima parte. Chi è coinvolto all’interno di grandi realtà fa moltissime cose per poter avere uno stipendio, se ce l’ha, e spesso non è scrivere. Per i motivi spiegati sopra non c’è un reale sbocco professionale, oggi, per fare solo il giornalista videoludico. Io stesso faccio anche altro, al di fuori dei videogiochi. Anche un nome internazionali come Jason Schreier lavora pur sempre per un colosso come Bloomberg e, pur rappresentando tra i professionisti più importanti del mondo, non scrive solo di videogiochi. Esistono realtà editoriali così solide da aver creato stipendi veri per chi ci lavora, ma ormai sono sature così come l’intero mercato. Se c’è la passione per i videogiochi, e la gioventù che non guasta mai, consiglio di provare la strada autonoma: YouTube, blog personale, Instagram, Twitch (qui bisogna fare in fretta perché la piattaforma è satura e sta cambiando l’economia) sono piattaforme da studiare e tenere in considerazione. Con impegno, talento, e la sempreverde fortuna, possono creare una vera professione».

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