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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Senza protezioni e tamponi, per i medici di famiglia è una roulette russa: «Così gestiamo la bestia Covid»

La dottoressa Cinzia Calzolari, medico di famiglia di Ancona, tiene il telefono accesso giorno e notte, gestendo anche 50 richieste di intervento al giorno e l'emergenza Coronavirus

Loro non sono vestiti come degli astronauti per proteggersi dal Coronavirus, anche perché, nel momento in cui visitano un paziente, non sanno neppure se sia affetto da Covid. Per loro è una roulette russa, soprattutto ad Ancona, dove i tamponi richiesti agli uffici sanitari della Regione sono arrivati sempre in ritardo ( in alcuni casi non sono mai arrivati) e dove le visite domiciliari si possono effettuare con tutti i dispositivi di protezione individuale solo se si ha la certezza di andare a casa di un caso di Covid. «Ma io sono la prima persona che visita quel malato, sono il primo sanitario che ci entra in contatto, come faccio a sapere se è un caso di Coronavirus? Non ci sentiamo abbandonati, ma di sicuro siamo la categoria professionale sanitaria che, in questa emergenza, è stata tutelata di meno». A parlare è Cinzia Calzolari, medico anconetano, specializzata in neurologia e con 25 anni di esperienza come medico di famiglia. Da settimane è oltre la prima linea. E’ in trincea e, a volte, deve anche fare delle incursioni oltre le linee nemiche. Così la dottoressa Calzolari tiene il telefono accesso giorno e notte, gestendo anche 50 richieste di intervento al giorno.

Il triage telefonico e la gestione delle rischieste di aiuto

«Ormai fisicamente, in ambulatorio io vedo 4, massimo 5 persone al giorno, anche perché io continuo a seguire i pazienti che nulla hanno a che vedere con il virus. La maggior parte invece li gestisco per telefono. I sintomi sospetti all’inizio erano solo tosse, febbre e dolore muscolare, mentre adesso teniamo molto in considerazione anche vomito, dissenteria, perdita del gusto e anche dell’olfatto, che spesso precede i sintomi più gravi. Se ha avuto contatti con soggetti a rischio (a meno di 2 metri di distanza e per un periodo superiore a 15 minuti), se ha difficoltà respiratorie o comunque sintomi gravi, per me è già un caso sospetto. Se invece non ha avuto contatti a rischio ma ha sintomi lievi, resta in osservazione a distanza per 4 giorni, se continua ad avere sintomi dopo quei 4 giorni, devo prendere una decisione». 

Sistemi di protezione solo per ospedali e poliziotti 

Cioè il medico sceglie se andarlo a visitare a domicilio o trattarlo per telefono. Nel primo caso, il rischio è altissimo perché i medici generali non hanno alcun dispositivo di protezione individuale. «Sono pochi e continuano a dirci che arrivano, ma sono quasi tutti destinati ad ospedale e polizia: possiamo richiedere al Potes (Postazioni territoriali per l'emergenza sanitaria) del 118 una fornitura di kit completo solo se è un caso certificato di Covid. Ma come faccio a saperlo prima? L’unica opzione è che sia un caso accertato, dimesso perché giudicato gestibile fuori dall’ospedale, ma in tutti gli altri casi noi medici di famiglia siamo sempre a rischio». E infatti oggi senza dispositivo i medici di famiglia non vanno nelle case, ma quelli che si presentano in ambulatorio per altre questioni?

Il Covid-19 può nascondersi dovunque

«Infatti mi è capitato un 78enne venuto da me in ambulatorio per una debolezza generalizzata, non aveva sintomi eclatanti, ma poi è risultato positivo. Il Coronavirsu è un animale subdolo, si annida fino ai bronchioli e se ne sta buono lì, dando sintomi leggeri, per poi esplodere tutto in una volta». Insomma una vera roulette russa per chi, come Cinzia Calzolari, ogni giorno deve difendersi dal contagio e seguire tutti i suoi storici pazienti. «Degli altri vado anche a casa, ma chi mi dice che non sia un positivo asintomatico o che viva con qualcuno che omette di avere sintomi influenzali? Io comunque lavoro sempre con mascherine FFP2 e se devo stare al computer in ufficio uso quella chirurgica». 

Tamponi in ritardo e la terapia viene fatta per telefono

L’alternativa è  gestire il paziente telefonicamente, ma c’è un bel problema con i tamponi «Se i sintomi sono lievi, lo teniamo d’occhio per qualche giorno, ma se persistono inizio una terapia farmacologica». In teoria, stando alle indicazioni dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco)  si fa la terapia sono se il caso di Covid è conclamato. «E’ vero - continua la Calzolari - ma quando noi richiediamo i tamponi, arrivano sempre in ritardo, a distanza anche di giorni e io non posso aspettare i giorni, per cui prescrivo paracetamolo per la febbre, Idrossiclorochina (antimalarico e antireumatico) che è potente antinfiammatorio per fermare l’infiammazione polmonare e ci abbiniamo un antibiotico. Servirebbero tamponi, ma ne fanno pochissimi perché manca il personale e mancano anche i reagenti per eseguire i test dei tamponi». 

Walking test e saturimetro 

Ma se peggiora? Se fosse un caso di Coronavirus non dovrebbe andare in ospedale? «Se peggiora lo ricovero, ma il nostro problema è proprio quello: capire quando il paziente è da ricovero perché, in tutto questo, io devo anche assolutamente evitare di affollare gli ospedali». Dunque come fa un medico di famiglia a capire il confine tra potenziale Covid o meno? «Utilizziamo 2 metodi. Il walking test e il saturimetro. Il primo consiste nel fa camminare il malato per 5 minuti dentro casa e, al termine, gli si fa misurare quanti respiri ha fatto in un minuto, mettendosi la mano sopra il petto. A seconda del risultato si capisce se possa essere in affanno. Il secondo è più oggettivo, ma il paziente deve comprarsi il macchinario che può costare anche 40 euro. Consente di misurare e monitorare il grado di saturazione di ossigeno e sulla base di quello capiamo se e quanta difficoltà ha a respirare». 

Verso il progresso della telemedicina 

Insomma è durissima per i medici di famiglia che, non solo rischiano sulla propria pelle, ma devono prendere le prime fondamentali decisioni per chi si rivolge a loro nel pieno della pandemia. Ma il camice bianco anconetano trova del positivo e rilancia: «Io credo che, nell’arco di un paio di mesi ne usciremo, un mese di emergenza e uno per valutare su come ritornare al lavoro senza rischi. Per allora ci sarà stata una improvvisa accelerazione nel modo di gestire la medicina generale, che sarà sempre di più telematica dopo essere stati obbligati a metterla in pratica nell’emergenza. Se prima eravamo bloccati alla ricetta ritirata di persona dal paziente, adesso siamo alla mail da presentare direttamente in farmacia o perché no, da usare online per la consegna dei farmaci a casa. Tutto questo c’era già prima, ora lo stiamo usando e non credo che torneremo indietro. La gestione della medicina del territorio deve uscirne potenziata, bisogna capire che siamo già nel progresso della telemedicina ed è fondamentale per un futuro in cui si alleggeriranno gli ospedali».

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