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Io sordocieco, la mia vita in quarantena tra i fantasmi: «Come Orfeo che guarda Euridice»

Il Coronavirus ha cambiato la vita di tutti, ma alle persone sordocieche di più. La storia di Francesco, cieco dalla nascita e sordo da quando aveva 10 anni

OSIMO - Fino a poche settimane fa Francesco Mercurio, 39enne osimano, pilotava deltaplani. Lo faceva due volte al mese dal campo di aviazione di Loreto, era un appuntamento fisso come gli aperitivi con gli amici nel week end. Il Coronavirus ha fermato anche lui ma per Francesco la storia è diversa, perché è cieco dalla nascita e sordo dall’età di dieci anni. Vive da 18 anni con un impianto cocleare, dispositivo fatto di un ricevitore che gli è stato impiantato nella testa e che rielabora voci e suoni raccolti da un trasmettitore esterno. Com’è l’isolamento domiciliare per lui?: «Vivo circondato dai fantasmi» racconta, dove i fantasmi sono proprio quelle voci dal suono metallico che ripetono l’audio della tv o la voce dell’assistente che fa la spesa per lui. Amici e familiari? No, non adesso. 

Francesco lavora per la Lega del Filo d’Oro, predispone pratiche burocratiche relative alla disabilità e risponde alle domande degli utenti. Usa il pc, ma con un sistema di audiolettura dello schermo e una tastiera normalissima, con la successione dei tasti imparata a memoria. Nel tempo libero? «Guardo le serie tv, ascolto l’audiodescrizione, se non c’è seguo solo i dialoghi e mi creo un film nel film». Prima che il Coronavirus sconvolgesse (anche) la sua vita, andava personalmente a fare spesa, l’accompagnatore lo teneva per mano e lo guidava, ma ora questa cosa non si può fare: «Potrei essere asintomatico e contagiarlo, mi sento responsabile a prescindere per chi mi assiste. Ho la tentazione di allungare la mano per vedere dove si trova il mio interlocutore ma non posso farlo. Mi sento come Orfeo: obbligato a non girarsi a guardare Euridice all’uscita dall’Ade». Oggi lascia la lista e i soldi sul mobiletto all’ingresso, l’assistente li prende e fa spesa poi lascia le buste in fondo alle scale e citofona: “Frà, ti lascio le buste giù”. «Io allora scendo, quando i miei piedi toccano le buste capisco che sono arrivato, le prendo e le porto su». Nessun contatto umano, ma il punto è proprio questo: «Bisogna rispettare le distanze ma per noi è un problema, io ho l’impianto cocleare ma molti no e comunicano attraverso le mani- spiega Francesco- le misure del governo sono giuste e non voglio sminuire il lavoro degli altri, ma la nostra situazione va parificata a quella dei sanitari e dei commessi perché occorrono anche a noi dispositivi di protezione. E’ giusto anche inasprire le sanzioni per chi va in giro senza motivo, ma venga salvaguardato chi assiste un disabile anche se non è il familiare». Tutto questo finirà. E poi? «Poi tornerò a volare sui deltaplani». Con il pilota supervisore Achille, Francesco ha inventato un sistema di comunicazione per sapere se servono correzioni di rotta e quota: «Un sistema tattile, nel caso il casco dovesse spostare l’antenna dell’impianto cocleare». Dove andrai, Francesco? «Ah, ci arriverò in America». 

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