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PD: Comi scrive una lettera aperta con 10 punti per le Marche

Fra i punti rivoluzionare la PA, investire sul capitale umano, creare nuovo lavoro, nuovo welfare, orientare spesa sanitaria, meno livelli istituzionali, macroregione adriatico-ionica, infrastrutture e servizi a rete, diritti e legalità

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di AnconaToday

Care Democratiche, cari Democratici,

essendo il tempo il bene più prezioso che ci sia dato, perché il meno recuperabile, ogni volta che ci voltiamo indietro a guardare ci rende inquieti l'idea del tempo eventualmente perduto. Tempo perduto è il tempo non riempito, vuoto, quello in cui non abbiamo vissuto, non abbiamo fatto esperienze, imparato, operato, sofferto, goduto.
Voglio partire da qui. Da questa citazione. Perché il tempo perduto misura le occasioni mancate. E noi ne abbiamo mancate molte. Ma se oggi siamo qui, insieme – e non era scontato; grazie a tutti voi – significa che il Pd delle Marche questo tempo ha iniziato ad utilizzarlo bene.
Ma il Paese di occasioni ne ha perse molte e tutti noi ne siamo responsabili.
Fino ad ora, di fronte alle difficoltà, alle ingiustizie, alle disuguaglianze, alle resistenze conservatrici, corporative, ideologiche, alla moltitudine dei problemi contemporanei, ci siamo cullati sull'esigenza di far maturare i tempi.
Abbiamo giustificato i nostri ritardi sulla convinzione che non si era pronti ad affrontare certe scelte. Ma era il Paese a non essere pronto o eravamo noi? Per troppo tempo abbiamo preteso che fossero gli italiani ad adattarsi ai nostri tempi, ai nostri bisogni e non viceversa.
Come se provassimo a porci in sintonia con la realtà ed i suoi sommovimenti partendo in ogni caso da noi e dalle nostre esigenze.
Tutto questo ha fatto accumulare ritardi al Paese, perdere opportunità, allontanarci dai Paesi più competitivi (il nostro Paese in trenta anni è passato da 400 a 2200 miliardi di debito).
La risposta della politica alle continue sollecitazioni di innovazione e coraggio è stata flebile ed inadeguata.
Oggi, dopo tanti ritardi, purtroppo, non siamo più solo dentro una drammatica congiuntura economica ma dentro un cambio epocale.
Per questo al PD, a tutti noi, non è più consentito perdere tempo.

Per questo sosteniamo con forza l'azione del governo Renzi: gli 80 euro in busta paga, gli interventi sull'edilizia scolastica, il superamento del bicameralismo perfetto e delle province elettive, lo sblocco delle infrastrutture, il Jobs Act per estendere garanzie e diritti a chi ne è escluso, l'abbassamento delle tasse a partire dall'Irap. Tutte queste iniziative indicano una terapia d'urto ed un percorso a tappe necessario.

Anche le Marche hanno bisogno di questa terapia. Non possiamo girarci dall'altra parte o fingere di non sapere.
Le Marche sono la prima regione artigiana d’Italia, tra le più manifatturiere d’Europa, culla dello “sviluppo senza fratture”, dalle grandi tradizioni civiche e con un diffuso tessuto di coesione e solidarietà sociale. Qui la crisi ha picchiato duramente, più che altrove. Ce lo ricorda ancora una volta la Banca d’Italia nel suo tradizionale rapporto sullo stato dell’economia regionale: “Nel 2013 l’attività economica nelle Marche si è ancora contratta. Le condizioni del mercato del lavoro sono peggiorate. L’occupazione è calata, specie nella componente giovanile, la più colpita dalla crisi. Il tasso di disoccupazione si è ulteriormente avvicinato a quello medio italiano. Il ricorso agli ammortizzatori sociali è stato ancora massiccio. In un contesto di riduzione del reddito disponibile delle famiglie è calata negli ultimi anni la propensione dei giovani a intraprendere gli studi universitari, anche se in misura attenuata rispetto all’Italia”.
I timidi segnali di ripresa dell’occupazione nel primo semestre 2014 non possono consolare; la caduta del Pil regionale tra il 2008 e il 2012 è stata peggiore dello 0,7% rispetto a quella nazionale, per poi riallinearsi soltanto nel 2013, tra 2008 e 2013 circa 34.000 persone hanno perso il lavoro, l’industria ha perso il 15% dei propri addetti, l’edilizia il 50%, il calo degli investimenti persiste (-17% rispetto al 2012) e il tasso di disoccupazione si è allineato a quello nazionale, cosa eccezionale per una regione che aveva tassi da disoccupazione frizionale, mentre tra i giovani dai 15 ai 34 anni è salito al 18,7% (20,3% in Italia). Il calo della domanda va stabilizzandosi, la divaricazione tra vendite interne ed esterne aumenta e senza il contributo dell’export tra il 2009 e il 2013 il Pil delle Marche sarebbe calato del 12% anziché del 5%. Tuttavia, anche su questo versante dell’export e dell’internazionalizzazione, il rallentamento della crescita mondiale e i focolai di guerra aperti nei mercati di tradizionale sbocco delle nostre produzioni, come ad esempio quello russo, rischiano d’indebolire quella che è stata una delle leve più attive nel periodo della crisi.
La situazione sul versante del credito registra un calo dei prestiti ad imprese e famiglie più forte rispetto alla media nazionale, così come doppia rispetto alla media nazionale è la rischiosità che gli istituti di credito segnalano per i prestiti alle imprese nelle Marche (9,0% rispetto al 4,7% su base nazionale).
Il tentativo di tante famiglie colpite dalla crisi di riconvertire il proprio bagaglio personale e lavorativo, passando dal mondo dipendente e della produzione manifatturiera a quello autonomo e del terziario, oltre ad avvenire nelle condizioni di contesto più difficili, ha coinciso spesso con l’investimento senza adeguato riscontro dell’ultimo risparmio messo da parte.
Se questi elementi, che denotano una consistente riduzione della capacità produttiva e della base imprenditoriale, un tasso di occupazione e di attività ancora lontani dalla media Ue, una despecializzazione in atto e un deficit persistente nell’investimento in ricerca e innovazione, li inseriamo in un contesto di più lungo periodo, che riguarda l’invecchiamento della popolazione (oltre il 25% di over 65 nel 2020), il rischio di denatalità e un saldo demografico negativo, mitigato solo dalla presenza immigrata, ci rendiamo conto di ciò che sta accadendo.
È in questo contesto che vicende come quella di Banca Marche e di Indesit hanno assunto un forte valore simbolico, toccando l’immaginario dei marchigiani legati quant’altri mai ai valori del lavoro e del risparmio. Lo stesso intervento di capitali stranieri nell’acquisizione di importanti marchi e aziende marchigiane (Benelli, Carlo Erba, Roland, Ferretti, Nazareno Gabrielli, Poltrona Frau, Conceria del Chienti, Indesit, Berloni) se non va demonizzato, non può non farci riflettere sull’emigrazione della governance di queste realtà.

È del tutto evidente, allora, che il quadro che abbiamo davanti ha a che fare con una vera e propria trasformazione delle Marche così come le abbiamo conosciute.
Tutto questo ci impone di agire, subito, senza tentennamenti.

Ora tocca a noi. Oggi, qui, il PD Marche si candida al governo della Regione Marche. Ma accetta di farlo con un impegno inderogabile: nessuna occasione deve andare persa. La regione che vogliamo e le Marche che vogliamo costruire debbono essere la "terra delle opportunità. Un'idea coraggiosa, un desiderio, la voglia di investire, di studiare, di creare, di aiutare gli altri, di lavorare, di avere una famiglia. Niente deve andare perduto. Ciò che dobbiamo temere, che ci deve far paura, è ciò che rischiamo di perdere ogni giorno che la politica non dimostra coraggio e progetti. Perché se le Marche sono quello che sono lo devono a chi non ha rinunciato a dare forza ai propri sogni, a realizzare le proprie idee, a inventare, a intraprendere.
Tutto questo rischia di andare disperso, perduto se non saremo pronti e se perderemo tempo.

Badate il passato è fonte di orgoglio, ma non deve diventare un fardello tanto pesante da inibire la ricerca di nuove soluzioni.
Se ad ogni problema che emerge noi opponiamo l'affermazione che nel nostro passato c'era una soluzione, e che basta ripescarla, magari in un archivio, ed aggiornarla, il futuro, qualsiasi futuro, ci è precluso.
Da una crisi si esce vincenti solo se si impara ad essere diversi, a stupire se stessi, gli altri.

In questo quadro, mi permetto di offrire al Gruppo dirigente regionale il mio contributo programmatico, suggerendo dieci azioni sulle quali elaborare progetti e proposte. Questo contributo si integrerà e completerà attraverso il prezioso lavoro dei gruppi tematici e nel seminario del 31 ottobre:
 
1) RIVOLUZIONARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
La burocrazia non deve fermare ciò che fa crescere. Le istituzioni pubbliche non possono ostacolare in alcun modo qualcosa che contiene in sé un'opportunità per la comunità (a patto che non danneggi l'interesse generale).
Per questo:
A) occorre semplificare, ovvero una spending review delle norme e delle procedure. Siamo prigionieri in un labirinto di regole che creiamo noi stessi. La semplicità restituisce tempo prezioso ai cittadini, alle imprese, all'amministrazione.
B) occorre mettere a servizio dei comuni e non in competizione con loro la macchina amministrativa regionale. La Regione deve essere sempre meno organo di gestione e sempre più organo di legislazione e programmazione.
C) serve una macchina amministrativa flessibile, in cui i dirigenti sono ancorati agli obiettivi e non tutelati dalla politica e dalle lobby.
D) serve una macchina amministrativa giusta che pone un tetto agli stipendi del top management e che assegna le risorse ai funzionari tutti più per i risultati che per le posizioni.
E) serve una amministrazione che esprima appropriatezza. Le azioni, i servizi, le prestazioni devono corrispondere ai bisogni reali e non ad altre logiche.
F) la cultura dell'appropriatezza deve andare di pari passo con la cultura della valutazione oggettiva e della trasparenza.
G) le risorse pubbliche vanno orientate per garantire EQUITÀ e QUALITÀ, PARI OPPORTUNITÀ. Non basta ricercare, investire risorse, realizzare progetti: è necessario farlo in modo giusto e con efficacia evitando che ci siano cittadini più fortunati di altri.
Occorre al riguardo individuare indicatori costanti e realizzare una mappa della qualità dei servizi nella nostra regione per recuperare le disuguaglianze che tutt'oggi permangono.

2) INVESTIRE SUL CAPITALE UMANO. La propensione allo studio dei marchigiani è tutt'ora alta, seppure in diminuzione, ma restano difficoltà di inserimento. Fatichiamo a trattenere i moli laureati nella nostra regione.
Investire sul capitale umano significa costruire il futuro, promuovere maggiore uguaglianza, mobilità sociale, rigenerare capacità lavorative e imprenditoriali.
Serve una scuola aperta tutto il giorno, un luogo nuovo per un modo nuovo di stare e crescere insieme, una formazione che consenta di esercitare il diritto allo studio, una riforma dei sevizi pubblici per l'impiego.
Occorre riorganizzazione dell’offerta formativa universitaria in un’ottica integrata, sviluppo delle relazioni Regione/Università/Territorio, ricerca scientifico-tecnologica e internazionalizzazione, orientamento e riforma del diritto allo studio sono le voci di un rapporto più forte con il sistema delle quattro Università marchigiane.
In linea con gli interventi e la riforma del Governo sulla “Buona Scuola” vogliamo diventare la regione con il più alto tasso di qualificazione scolastica anche attraverso una “carta della qualità scolastica regionale” che impegni l’istituzione regionale, insieme a tutti gli attori del mondo dell’istruzione e della formazione, gli studenti e le famiglie, il mondo economico e sindacale, in un forte investimento strategico e trasversale, anche attraverso un’apposita legge.

3) CREARE NUOVO LAVORO. Siamo giunti alla sesta edizione del “pacchetto anticrisi”, varato per la prima volta nel 2009, che ha dato importanti risposte ai cittadini marchigiani, consentendo alla comunità regionale di resistere nei momenti di maggiore difficoltà. Siamo ora nelle condizioni di organizzare una risposta che sia d’attacco almeno su due fronti: 1) la difesa attiva, riconversione e innovazione dell’esistente; 2) l’investimento nei nuovi settori di sviluppo, nei settori di frontiera e fortemente innovativi. Possiamo farlo perché la nuova legislatura si aprirà in concomitanza con l’impiego concreto delle risorse europee 2014-2020, di cui una quota pari ad almeno il 20% dei quasi 1200 milioni di euro disponibili dovrà essere concentrata in azioni per la creazione di nuovo lavoro.
 
4) UN NUOVO WELFARE. OCCORRE CONIUGARE IL WELFARE DELLE ISTITUZIONI CON QUELLO DEI CITTADINI.
Le Marche sono una regione con ottimi servizi di welfare e una delle regioni con le più alte dotazioni di capitale sociale. Tantissime sono le realtà associative e di volontariato presenti. I nostri servizi sono però dedicati a fasce marginali della popolazione (5%). Oggi c'è un 11 % di cittadini che bussa alle nostre porte perché ha perso lavoro e spesso casa (83000 disoccupati, 50000 cassa integrati). Inoltre c'è un 20% silente che non arriva a fine mese e spesso si vergogna di chiedere aiuto.
Il futuro del welfare è ad un bivio. Con una domanda di solidarietà crescente e risorse calanti non basterà risparmiare, non basterà associarsi, non basterà introdurre nuovi modelli organizzativi, occorre un salto di qualità culturale.
I comuni e le regioni non possono continuare ad insistere nella creazione di luoghi dove attendere l'utente. È tempo di andare verso i cittadini a cercare collaboratori più che utenti. È tempo di avere coraggio e affidare gli utenti meno difficili da gestire a sistemi di vicinato e volontariato sostenuti dai servizi pubblici. Il pubblico deve diventare sempre di più il broker del territorio, il soggetto in grado di scovare energie, di connetterle, metterle a sistema universale.
Il bivio è netto: più partecipazione e meno welfare. Serve un salto culturale, la diffusione di nuove competenze, meno burocrazia.
Occorre poi accreditare tutto il mondo del welfare che è tra noi e che trascuriamo. Il welfare auto-costruito. In Italia il 70% della spesa del welfare è costituito dalle pensioni, che sono utilizzate per la gran parte per le badanti. Sono 850.000 in Italia a dispetto dei 600.000 dipendenti del sistema sanitario nazionale. Vanno riconosciute e sostenute insieme a tutte le varie forme di autorganizzazione delle comunità.

5) ORIENTARE LA SPESA SANITARIA VERSO LA CURA PIUTTOSTO CHE VERSO L'AMMINISTRAZIONE DEI SERVIZI.
 La Sanità rappresenta la più grande industria regionale e in prospettiva sarà ancora di più il cuore delle politiche regionali. Per mantenere gli ottimi risultati raggiunti e migliorarne il livello qualitativo e quantitativo dei nostri servizi occorrono una serie di azioni:
A) trascurare definitivamente interessi delle corporazioni e preoccuparsi solo degli interessi dei cittadini. Trascurare i dibattiti annosi di ingegneria istituzionale e che riguardano il numero delle aziende e la loro condizione giuridica e occuparsi solo della qualità e quantità dei servizi.
B) revisionare prima che riformare il sistema, occorre fare il tagliando alle nostre riforme per verificare i livelli dei servizi.
C) investire sulla prevenzione, sulle politiche della maternità con una rete consultoriale di supporto adeguata e uniforme, potenziare i servizi territoriali e domiciliari per governare il fenomeno epocale della "longevità di massa", potenziare i distretti, de-ospedalizzare e specializzare il sistema, valorizzare le professioni sanitarie.

6) LE CITTÀ E LE REGIONI DEVONO SUPERARE I PROPRI CONFINI.
Occorre un nuovo policentrismo regionale che consenta di superare la competizione campanilistica verso un sistema di relazioni intelligenti tra i distretti produttivi, i sistemi di mobilità, i bacini naturali dei servizi... Concepito intorno all’assetto tra Città e Territorio e sulla base delle Province storiche, esso ha bisogno di una nuova visione di sistema, di un progetto di livello regionale e di un assetto dinamico di rete, che veda protagoniste le Città in formazione delle Marche, intorno alle quali vanno organizzandosi da tempo sistemi integrati locali fatti di grappoli di Comuni che hanno in un Comune principale il punto di riferimento, sia in termini di mobilità lavorativa che di offerta di servizi. Gli Interventi Territoriali Integrati (ITI) per le Aree Urbane e per quelle di Crisi, ad esempio, dovranno tenere conto di quale policentrismo vogliamo costruire. Dobbiamo riportare in auge un disegno di programmazione del territorio regionale che aggiorni i diversi strumenti programmatori e che dia concretezza al principio dell’equità tra i territori, che offra nuovi strumenti per la pianificazione urbanistica e la mobilità delle persone, la riqualificazione dei centri storici e dei fondovalle, la rigenerazione urbana; che metta fine al consumo di suolo, incentivi a costruire sul costruito e a recuperare l’esistente, che investa sul risparmio energetico e appronti un piano contro il dissesto idrogeologico, andando alle cause dei disastri sempre più frequenti e annunciati.

7) PROMUOVERE SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA E NUOVO SVILUPPO. La metamorfosi che stiamo vivendo è quella che ci sta portando dalla società industriale a quella della conoscenza, dove un ruolo fondamentale viene giocato dalle nuove tecnologie. È nostro compito aiutare, accompagnare e orientare a tutti i livelli questo cambiamento che sta già interessando la nostra regione in profondità e in modo trasversale ai vari settori. L’investimento in sapere e in cultura deve andare di pari passo a quello nell’ICT e in questa direzione vanno indirizzate nuove politiche pubbliche che stimolino l’investimento privato e nuovi strumenti creditizi. I settori del made in, dell’energia, dell’ambiente e del nesso cultura-turismo, ma anche quelli del web e dell’economia sociale, o quelli di una moderna impresa agricola verso cui molti giovani stanno orientandosi, i settori di frontiera incorporati dai cluster tecnologici o dalle smart specialisation (domotica, meccatronica, manifattura sostenibile, salute e benessere) sono attraversati dalla scommessa della società della conoscenza ed esprimono nuove professionalità. Tra le “gazzelle” della globalizzazione (le nostre medie imprese vocate all’export), da sostenere con nuove politiche di internazionalizzazione, e i “naufraghi” della crisi (le piccole e piccolissime imprese subfornitrici o del terziario non avanzato) - per dirla con il sociologo Aldo Bonomi - c’è tutto un mondo che resiste o che cerca di emergere, che va intercettato e a cui va data una mano e la possibilità di cogliere delle opportunità, rompendo incrostazioni e barriere esclusive ed escludenti.
 
8) MENO LIVELLI ISTITUZIONALI e  UNA REGIONE DEL CENTRO ITALIA NELLA MACROREGIONE ADRIATICO-IONICA.
Accanto alla semplificazione burocratica serve una semplificazione istituzionale. Tutto ciò significa avere il coraggio di riformare dal basso, senza attendere le tardive imposizioni del legislatore costituzionale o nazionale. Tutto ciò significa meno enti ma soprattutto meno sovrapposizioni.
Dopo la riforma delle province, la strada timidamente percorsa della revisione delle dimensioni dei comuni, con i processi di fusione, va affrontata con maggiore decisione.
Il mantenimento delle identità locali non ha niente a che vedere con la sopravvivenza di decine di comuni dalle dimensioni ormai drammaticamente inefficienti.
Bisogna sapere che meno enti, meno comuni, meno regioni, vuol dire meno tasse, più servizi, più opportunità.
Anche le Marche sono oramai troppo piccole per affrontare le sfide.
Il futuro delle Regioni si giocherà sempre più tra l’Europa e le Aree territoriali interregionali. Il futuro delle Marche dovrà cogliere l’obiettivo di costruirsi e pensarsi come una regione europea a tutto tondo, capace di stringere un rapporto di forte collaborazione con le Regioni del Centro Italia, in primis l’Umbria, l’Abruzzo e l’Emilia Romagna, nella logica di un’Italia di mezzo sempre più integrata e di proiettarsi nella dimensione della Macroregione Adriatico-Ionica come ambito di cooperazione interistituzionale, di pace, di sviluppo solidale ed ecosostenibile. Anche per queste ragioni dobbiamo farci promotori di una iniziativa legislativa e riformatrice che possa portare nel breve periodo ad una riduzione e semplificazione del numero delle regioni italiane.

9) INVESTIRE SU INFRASTRUTTURE E SERVIZI A RETE. L’investimento sulle infrastrutture è stato importante in questa legislatura: dalla Terza corsia dell’A14, al progetto Quadrilatero, che ci integrerà maggiormente con l’Umbria, allo sblocco della Fano-Grosseto. Quello infrastrutturale resta un impegno da perseguire, anche qui con l’ottica dell’equità tra i territori. Lo stesso possiamo dire dello sviluppo della banda larga, che va ulteriormente potenziata e realmente portata nelle zone più difficili, quelle a cosiddetto “fallimento di mercato”. Per quel che riguarda le infrastrutture, la mobilità, lo sviluppo della banda larga e l’attuazione dell’Agenda Digitale dovremo dedicare a questi ambiti, in modo mirato, le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione. Un salto di qualità, invece, va fatto nel comparto dei servizi pubblici locali: rifiuti, acqua, gas, energia, trasporto pubblico locale. Qui è sempre più urgente un’iniziativa che aiuti la costruzione di masse critiche e di economie di scala tra le realtà industriali del territorio regionale, le quali su ambiti almeno provinciali possano garantire efficienza e qualità nell’erogazione di servizi.

10) DIFESA DEI DIRITTI E LEGALITÀ. La Regione che immaginiamo si fa carico dei diritti dei minori, degli immigrati, delle donne che subiscono violenza, delle coppie di fatto e delle unioni civili, lotta contro ogni discriminazione di sesso, di razza e di religione. È una Regione che si pone il tema di un ringiovanimento della comunità regionale: accanto ai temi dell’invecchiamento attivo, non può non avere adeguata attenzione quello di costruire ambienti favorevoli alle giovani generazioni, alla risoluzione dei problemi del lavoro, della casa e dei servizi per chi vuol costruire una famiglia e per le giovani coppie. La Regione che vogliamo concorre a combattere l’economia illegale e criminale, che - come ci ricorda ad ogni inaugurazione dell’Anno giudiziario il Procuratore antimafia Macrì - è penetrata anche nella nostra realtà, complice la crisi e la ricerca di nuove aree d’insediamento. È una Regione che si occupa della sicurezza dei cittadini e del controllo sociale del territorio.
 
 
 Care Democratiche, Cari democratici,
 
come potete vedere dalle cose che ho cercato di dire, l’esigenza di metterci alla testa di un processo di cambiamento, di farlo tutti insieme, nasce dalle questioni reali che dobbiamo affrontare e non da dispute personalistiche.
Rabbia, delusione, voglia di cambiamento restano e sono profonde. Tuttavia, io sono convinto che un altro sentimento si stia facendo strada tra i cittadini ed è il bisogno di capire quale sarà la via d’uscita, di vedere all’opera chi costruisce e chi invece vuol soltanto distruggere, che cosa si vuol costruire e non soltanto demolire. Non è forse questo il motivo che ha spinto tanti italiani che non avevano mai votato il Pd a farlo di fronte allo “sfascismo” grillino o al ritorno di chi ha fatto perdere al Paese vent’anni con le sue vicende personali? E non sta qui anche lo spazio per rinobilitare la politica, l’attività a cui ciascuno di noi si dedica con passione e sacrificio, e per ricostruire una fiducia tra cittadini e politica?
Non si tratta di una mera necessità programmatica, bensì di mettere in campo una ben più ampia visione comunitaria, di progettualità sociale, economica e valoriale. Serve insomma una visione di futuro e chi ne è portatore ha la possibilità di costruire fiducia e consenso, di vincere e governare per fare ciò che ha proposto.
Ha detto Ed Catmull, cofondatore e presidente della casa di produzione Pixar: “La nostra storia mostra che la crisi va affrontata insieme. Per noi è collettiva e mai individuale. Se ci sono problemi da risolvere li prendiamo tutti sulle nostre spalle. Vedendoci tutti coinvolti riusciamo ad essere ottimisti, a voltare pagina senza drammi o insuccessi personali”. Sono parole che sembrano scritte per noi, raccogliamole e facciamole nostre, insieme.

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