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“Ciclofficina Social Club”: quando le bici tornano a nuova vita

Un luogo dove le biciclette destinate alla discarica tornano a "nuova vita", come mezzi di integrazione e socialità. Ma anche un collettivo di promozione della mobilità alternativa e un laboratorio per riscoprire la città

Un luogo dove le biciclette destinate alla discarica tornano a "nuova vita", come mezzi di integrazione e socialità. Ma anche un collettivo di promozione della mobilità alternativa e un laboratorio per riscoprire la città. Abbiamo incontrato Luca, di "Ciclofficina Social Club"

Ciao Luca, come nasce Ciclofficina?

Le “ciclofficine” nascono nel 2001 con il fenomeno della "critical mass" (raduni spontanei di biciclette) ed in Italia sono trenta circa: è un fenomeno in diffusione. L'attività ad Ancona inizia invece nel 2009 dopo il vertice mondiale sul clima a Copenhagen, all'interno della Polisportiva "Ancona Social Club" - che si occupa anche dello sport del cricket - per rilanciare il concetto di mobilità ma anche di una città diversa.

Come si svolge la vostra attività?

Tutti i sabati ci troviamo in via Urbino, nello spazio che ci ha messo a disposizione l’Ambasciata dei Diritti, e dalle 16 fino alle 19 vengono ragazzi montano e smontano biciclette, e qualcuno naturalmente ogni tanto ce le porta. Tutto il materiale che possediamo è stato donato o recuperato dalle discariche: erano bici che stavano per essere buttate, noi siamo riusciti a salvarle e redistribuirle alle persone. E' un atto totalmente politico: si prendono delle cose, si mettono a posto e si redistribuiscono  gratuitamente. L’unica cosa che chiediamo è una piccola sottoscrizione annuale, per i materiali che dobbiamo comprare nuovi e per le spese vive. Approfitto per lanciare un appello a chiunque abbia una vecchia bici di cui vorrebbe liberarsi: la porti da noi, le daremo una seconda vita e una destinazione utile al prossimo.
Uno dei cardini principali per la Ciclofficina è la promozione della bici come strumento di socialità ed integrazione. Molte persone non hanno proprio modo di muoversi nella città perché non hanno soldi: qui al piano molti migranti vengono a chiederci le bici e con loro facciamo dei progetti per distribuire le biciclette. Sono, per così dire, le fasce più deboli, che vengono a chiederci un mezzo per spostarsi nella città, per andare a lavoro o andare a cercare lavoro, ma anche per conoscere la città.
Lo scorso anno abbiamo realizzato un progetto che si chiama "Socialmobility": in collaborazione con i progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) abbiamo costruito sette biciclette assieme ai migranti stessi, e ne abbiamo destinata una ad ogni nucleo familiare.

Ma non c’è solo l’attività ordinaria, giusto? Organizzate anche eventi di sensibilizzazione o di socialità..

foto(4)-5Una volta al mese c’è il ciclo-aperitivo a tema (seguire la pagina Facebook o il sito per sapere quando), poi ci sono varie iniziative legate a temi politici o sociali: ad esempio quando c'è stato il referendum sull'acqua  siamo andati in giro con le biciclette a promuovere la partecipazione al voto e abbiamo fatto una “critical mass” che ha fatto rumore. Inoltre, con i Ciclisti Urbani, organizziamo anche #biciancona, un'escursione urbana per scoprire o ri-scoprire i luoghi della città.

Come siamo messi, ad Ancona, dal punto di vista della ciclabilità?

Siamo molto indietro, anche se la ciclabilità la stanno facendo le persone stesse. Più le persone utilizzano i mezzi pubblici e le bici (e meno l'automobile) più la città diventa ciclabile. È vero che si può sempre fare di più e meglio, e che bisogna preservare e rendere fruibile ciò che si ha: ad esempio la pista ciclabile in via Giordano Bruno è in uno stato di incuria totale, cosa che è stata più volte denunciata all'amministrazione senza successo.
Comunque per noi la strada è tutta ciclabile, anche se serve una redistribuzione degli spazi. Pensiamo alle zone pianeggianti della città, dal Passetto fino a Piazza Ugo Bassi, o a Palombare: più si incentiva la mobilità alternativa più si riesce a vivere la città.

Cosa potrebbero fare le istituzioni per venire incontro alle vostre istanze?

Un evento importante è stata l'adesione alla campagna "Salva ciclisti", nata da 37 blogger che nel 2012 hanno lanciato questo “SOS” a livello nazionale – ma ripreso anche, ad esempio, dal “Times” di Londra – per chiedere strade più sicure per chi utilizza questo mezzo. Il logo della campagna è nato proprio qui ad Ancona, da un nostro ciclista urbano. La campagna promuoveva 8 punti, tra cui l’istituzione di zone a bassa velocità ("zone 30"), intermodalità dei trasporti urbani, e ovviamente le piste ciclabili. Abbiamo fatto anche aderire il sindaco di Ancona, ma ancora non è stato fatto nulla.
Ci sono comunque molti interventi a basso costo – se non addirittura a costo zero – che potrebbero contribuire a cambiare le cose, ad esempio stiamo chiedendo il permesso per il trasporto delle biciclette pieghevoli all'interno dei mezzi pubblici, in modo da rendere più agevole per i cittadini spostarsi in città sulle due ruote, magari facendo fare un pezzo con l'autobus e uno in bici.

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