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Cronaca

Bastava evocare il nome per generare terrore, così il clan del ristorante sfidava la Polizia

Gravi indizi di reato ma anche l’altissimo pericolo di recidiva. Per questo il Gip ha confermato il carcere per 6 indagati, rigettando tuttavia la richiesta per altri 4, "esclusi dall’appartenenza all'eventuale associazione e coinvolti marginalmente"

Non avevano bisogno di minacciare. Non servivano ritorsioni per ottenere i soldi della droga. Bastava evocare il cognome “Spinelli” per instillare il terrore nei clienti morosi. Era stato risucchiato nella spirale dell'ansia anche un anconetano appena 20enne che, per consumare la cocaina, si era indebitato con Giulia Spinelli, detta Maghetta, alla quale doveva 2.500 euro. Non sapeva di essere già intercettato dagli agenti della Squadra Mobile di Ancona quando, l’11 novembre 2017, parlava al cellulare con un amico al quale diceva «…che quello mi sta appresso…io adesso mi metto paura…vedi quello adesso se mi ha mandato un messaggio…mi metto anche paura di scriverlo…che gli scrivo, che gli dico…mi ha mandato un messaggio “vieni”…io sono anche pronto ma come vengo ….che gli dico, come glielo dico al telefono». Aveva paura. Non si sentiva in grado di trattare con quelle persone a cui aveva già consegnato la sua automobile, con tanto di passaggio di proprietà, come pegno per i pagamenti da saldare in futuro. C’era chi consegnava monili, chi anelli d’oro, chi gioielli, chi doveva chiedere soldi ai propri genitori. Alla fine tutti, in un modo o nell’altro, saldavano i debiti con il clan del ristorante “Mari e Monti”, il locale posto sotto sequestro perché considerato la base operativa dello spaccio di cocaina. Un traffico di droga che, nell’ordinanza di applicazione delle 6 misure di custodia cautelare, il Gip Antonella Marrone non esita a definire “…continua, frenetica, non viene interrotta neanche nel caso di continui subiti controlli o arresti dei membri del gruppo e costituisce, evidentemente, la maggior fonte di reddito degli indagati”. Già, perché il clan, non ha mai avuto remore a proseguire i propri affari nonostante il sospetto di essere controllato dalla Polizia. Durante i mesi di indagine infatti diversi indagati sono stati controllati, fermati, perquisiti e, in alcuni casi anche arrestati. Ma questo non ha mai fermato il giro di spaccio in tutto l’hinterland anconetano. Lo sa bene un cliente che doveva agli Spinelli più di 4mila euro, avvicinato mentre andava alla sua auto da 4 degli indagati e intimorito affinché si sbrigasse a saldare il debito, precisandogli di passare a casa loro nel pomeriggio. “Ma fai attenzione perché in questo periodo siamo controllati”. 

Le misure: 6 arresti e 4 in libertà 

Dunque non solo i gravi indizi di reato, ma anche l’altissimo pericolo di recidiva visto che, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti e condiviso anche al Gip, il clan vive di spaccio di droga. Ecco perché la misura del carcere per Giulia Spinelli, 49 anni detta Maghetta, Giulia Spinelli, 51 anni, Patrizia Spinelli, Ylli Sullaku e Romina Buonora. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Tuttavia lo stesso Gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare per altri 4, indagati anche per l'episodio dell'estorsione, perché esclusi dall’appartenenza alla presunta associazione e interessati solo marginalmente dagli episodi di spaccio ricostruiti dalla Polizia.

La catena della droga

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Gjyshi sarebbe stato uno dei principali fornitori di Patrizia e Giulia Spinelli (classe ’67), rispettivamente figlia e madre. Sarebbero state loro le dominus del giro di polvere bianca che faceva riferimento al ristorante “Mari e Monti”. Le due donne, aiutate da Sallaku (marito di Patrizia) rifornivano Giulia Spinelli (classe ’69), detta Maghetta, che spacciava attraverso una serie di intermediari sul territorio. Ruoli ben definiti, seppur intercambiabili, stando a quanto scritto dal Gip, che ha disposto anche il sequestro dell’auto estorta al 20enne anconetano e del ristorante di via Rocca Priora a Falconara. 

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