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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Genga / Viale Marinelli

Genga, l'intuizione grazie ad una sigaretta: «Così scoprimmo la Grotta del Vento di Frasassi»

A raccontare come fu trovata la Grotta del Vento di Frasassi, nel giorno dell'anniversario, è proprio Giancarlo Cappanera del Gruppo Speleologico Marchigiano CAI Ancona, maestro di colui che fece la scoperta

Sono passati esattamente 45 anni dalla scoperta della "Grotta Grande del Vento" di Frasassi. Un’intuizione, portata avanti con caparbietà e competenza, da chi poi avrebbe consegnato alla storia un pezzo unico nel naturalismo della provincia di Ancona, delle Marche e d’Italia. La storia e le testimonianze vogliono che a scoprire quella grotta unica nel suo genere fu lo speleologo Rolando Silvestri. «Per la memoria storica che mi ha visto primo testimone, è giusto dire che il vero ed unico scopritore della "Grotta Grande del Vento" di Frasassi è stato un mio giovane allievo che frequentava un corso di introduzione alla Speleologia: Rolando Silvestri - ha raccontato Giancarlo Cappanera del Gruppo Speleologico Marchigiano CAI Ancona - Solo a lui va il merito della scoperta e anche se altri speleologi del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona (e non solo) hanno poi contribuito all'esplorazione di questo meraviglioso mondo ipogeo. Ma senza la sua fortunata intuizione chissà quanti decenni o centinaia di anni sarebbero ancora trascorsi prima di fare casualmente questa scoperta».

LA STORIA. «La nostra straordinaria avventura umana iniziò quando, come istruttore di un Corso di introduzione alla Speleologia, durante una lezione che tenni un giorno del maggio del 1971, per colpire la fantasia dei giovanissimi partecipanti, raccontai la "favola" del Foro degli Occhialoni: due grandi buchi che trapassano quasi la cima della montagna nel versante opposto a quello dell'attuale entrata turistica alla grotta - racconta sempre Cappanera - Dissi che era possibile supporre che questo residuo di grotta potesse avere avuto in passato un proseguimento alla stessa altezza nel versante opposto, visto che l'acqua del fiume Sentino, sciogliendo il calcare e scavando le grotte, aveva tagliato in due la montagna formando la Gola di Frasassi. La storiella, perchè tale fu, finì li. Un giorno di settembre del 1971, ritornando a casa in treno, alla Stazione di Fano incontrai Rolando Silvestri che mi disse: "Sai Giancarlo, alcuni giorni fa sono stato a Genga con il mio amico Umberto Di Santo con il quale mi sono arrampicato fino all'altezza del Foro degli Occhialoni, ma nel versante opposto. Abbiamo trovato dei piccoli buchi che entravano nella roccia, uno in particolare ci è sembrato che proseguisse”. Conoscevo bene quella zona e di buchi "di particolare interesse" non ne avevo mai visti. Ma accantonando le mie presunzioni e senza una motivazione sostenibile, feci allora l'atto di fede umana più ispirato della mia vita: organizzai per il sabato successivo una estemporanea spedizione di ricerca nell'ambito del Corso di Speleologia. Quel giorno erano con me, oltre a Rolando Silvestri, Giorgio Lacopo, Franco Ranzuglia e Gianni Cieri. Era sabato 25 settembre 1971 quando la spedizione da me guidata si concentrò sul buco principale trovato da Rolando Silvestri. Il foro sembrava una tana con un'entrata dal diametro grande circa come un volante di una macchina e, dopo averlo liberato a mani nude, constatammo che sembrava veramente inoltrarsi direttamente all'interno della montagna. Con molta difficoltà strisciammo dentro un ambiente che si allargò fino a diventare grande poco più di una stanza le cui dimensioni erano di circa 6 metri per 3. L'entusiasmo mio e dei compagni crebbe immediatamente e ci mettemmo subito a vedere se esisteva una prosecuzione che però non fu trovata. Nella stanza non si apriva nessun cunicolo percorribile. Dissi: "Pazienza ragazzi, comunque sia è un bel risultato visto che per la prima volta, a questa altezza e con direzione verso il cuore della montagna, abbiamo trovato un'entrata a conferma della teoria dell'esistenza interna di una grande grotta».

L’INTUIZIONE GRAZIE AD UNA SIGARETTA. «Era giunta l'ora del pranzo, così, tutti sudati e un po’ delusi, ci sedemmo appoggiandoci alle pareti ai margini della stanza. Chi come me stava seduto nella parte più interna ebbe un'immediata sensazione di freddo dietro la schiena. Non riuscii a finire di commentare il fatto evidente che il fumo delle sigarette, fumate da due di noi, si stava disperdendo molto rapidamente nonostante l'entrata dall'esterno fosse molto piccola, quando tutti insieme gridammo: "C'è circolazione di aria! La grotta ha una prosecuzione molto grande!”. Con le sigarette accese, dopo avere dato una boccata di fumo profondissima spalancammo uno ad uno la bocca a ridosso della parete dove ero appoggiato poco prima, constatando senza ombra di dubbio che il fumo veniva disperso violentemente a causa di un forte passaggio d'aria che fuoriusciva da alcuni piccoli fori. Impazziti dalla gioia concentrammo tutte le nostre luci in quel punto e verificammo che la parete era completamente composta da materiale di riporto fortemente compattato. Iniziammo subito a scavare con i pochi attrezzi a disposizione. Dopo una serata di frenetico lavoro, verso le 22:00, sfondammo il diaframma di circa due metri del fronte di frana che ostruiva il "passaggio del Vento". Nessuno riuscì ad infilarsi dentro lo strettissimo buco che eravamo riusciti ad aprire. All'interno non si vedeva quasi nulla, intravedemmo solo una piccola porzione di parete anche perchè il vento era tornato a circolare in maniera così violenta che spegneva tutte le lampade ad acetilene ed impediva quasi di tenere gli occhi aperti. Una meravigliosa sensazione che dopo tanto tempo, ho ancora presente e "viva" sul mio volto. Era fatta, eravamo certi di avere intrapreso la via per entrare all'interno della montagna. Urla, preghiere, salti incontrollati e una gioia incontenibile ci pervase. "Che nome mettiamo alla grotta?”. Nell'indecisione generale, ahimè, proposi di chiamarla "Grotta del Vento", un nome nella logica degli eventi ma che in seguito la grotta stessa ci dimostrò essere troppo comune e banale tanto che cercammo,anche per la necessità di distinguerla da altre cavità con lo stesso nome, di nobilitarlo con l'aggiunta, in modo questo si azzeccato, del termine “Grande". A tanti anni di distanza ancora mi mordo la lingua per questa "leggerezza"; la nostra grotta meritava un nome più degno che però neanche i miei compagni, nei giorni successivi, ebbero la fantasia di proporre. Peccato. Sabato 2 ottobre tornammo attrezzatissimi (ed in massa) con palanchi, picconi, pale, scalpelli e martelli. Dopo essere riusciti ad allargare sufficientemente il cunicolo, tentammo di "armarlo" prudentemente con delle pesanti tavole che ci eravamo faticosamente portati dietro perché avevamo capito di avere aperto il passaggio all'interno di un fronte di frana. L'operazione non riuscì perchè, per farlo, dovevamo scavare un vero e proprio tunnel. Fabio Sturba, il nostro più bravo esperto in strettoie, liberandosi di quasi tutti i vestiti e con un coraggio da leone, riuscì ad entrare faticosamente nel buco. Dopo alcuni istanti di silenzio assoluto, avendolo visto scomparire, preoccupati urlammo il suo nome. Ancora secondi di terribile silenzio, poi sentimmo Fabio che rideva a crepapelle. ”Continua, continua ragazzi! Potete entrare tutti!” Sfondata la volta, in un batti baleno passammo tutti dal "passaggio del Vento”. Le pareti nere e le pisoliti rinvenute nel primo piccolo ambiente visitato ci dissero chiaramente che la strada era quella buona. Poco dopo arrivammo urlando in un grande balcone, poi battezzato "Sala del Trono", ci gettammo in un pozzo di circa 10 metri alla cui base si apriva un enorme baratro: eravamo giunti sul Pozzo poi chiamato, per acclamazione, ed in onore della nostra città, “Ancona". Dopo il ripetuto rituale " lancio del sasso", tendente a stabilirne approssimativamente la profondità, per la sensazione di avere trovato un salto "quasi senza fondo", nell'euforia, sul momento lo definimmo erroneamente "abisso". I secondi passati prima di sentire il rumore del sasso contro la base, ci fecero stimare il salto profondo 80 - 100 metri. Molti di noi piangevano dall'emozione, ed io non dimenticherò mai la felicità che prorompeva dai volti dei miei compagni. Mi piace ora ricordare al paziente lettore che nella settimana successiva, molti di noi, io compreso, fummo colpiti da violenti attacchi di febbre in assenza di una patologia manifesta che, in seguito, anche qualche medico ipotizzò essere la conseguenza della fortissima emozione provata. Domenica 3 ottobre, fatta la scelta ragionata su chi doveva avere l'ambita precedenza nella discesa, solo la sorte compose la prioritaria formazione dei fortunati. Nell’ordine: Maurizio Bolognini, Fabio Sturba, Giancarlo Cappanera, Giuseppe Gambelli. Maurizio Bolognini scese nel vuoto 70 degli 80 metri di scalette allora disponibili senza avere però modo di vedere il fondo perchè l'ultima tratta di 10 metri risultò inutilizzabile per via della sorprendente rottura di un gancio di giunzione. La voce emozionata e lontana di Maurizio che gracchiava dal radiotelefono ci comunicò questa notizia che fece accapponare a tutti la pelle e ci rese totalmente consapevoli della grandiosità della scoperta fatta da Rolando Silvestri. Il 10 ottobre 1971 con 120 metri di scalette metalliche approvvigionate in gran fretta, Maurizio Bolognini e Fabio Sturba, discesero per la prima volta e toccarono il fondo del pozzo Ancona. Lo stupore già grande, divenne immenso quando apprendemmo dalle loro voci che erano discesi in un'ambiente tra i più vasti mai scoperti, talmente esteso che con la potente torcia subacquea a disposizione non si riusciva a delinearne i contorni. Sabato 16 ottobre Bolognini, Sturba, Gambelli ed il sottoscritto, con l'aiuto e lo sforzo determinante di altri diciotto compagni restati in appoggio sul bordo del pozzo, effettuarono la prima grande spedizione esplorativa. Solo dopo esserci ripresi da un comprensibile sbandamento, iniziammo a realizzare quanto era immensa e gigantesca la grotta in cui ci eravamo calati. Ad una prima stima, il pozzo Ancona creatosi a forma di cono rovesciato e al centro del quale quasi eravamo discesi, risultava incredibilmente alto, oltre 200 metri e con un diametro di base che superava i 150”. Terminata questa prima esplorazione, raggiungemmo sfiniti la scaletta per ritornare fino al ciglio del pozzo. Il nostro lavoro era appena incominciato, le dimensioni del complesso indicavano che ci sarebbero volute decine di anni per esplorare tutta la Grotta Grande del Vento. Ancora oggi nel 2016 mi chiedono spesso quali vantaggi abbiamo ottenuto dopo la scoperta della Grotta Grande del Vento e precedentemente, della collegata Grotta del Fiume: non ne abbiamo chiesto nessuno. Dal magnifico territorio di Frasassi abbiamo preso solo fotografie e lasciato unicamente le impronte dei nostri scarponi. Aver dato la possibilità a tanta gente di provare " emozioni " ci ripaga di tutto. La soddisfazione di quello che abbiamo fatto ci è bastata anche perchè la straordinaria esperienza vissuta ha cambiato, certamente in senso positivo e in vari modi, la nostra vita oltre a quella di tanti cittadini di Genga. Infatti il risultato del nostro lavoro è stato il punto di partenza per il riscatto economico del territorio di Genga, già allora tanto bello ma poverissimo che, in seguito alla nostra scoperta, si è sviluppato in una comunità molto prosperosa traendo profitto dal fatto che le Grotte di Frasassi sono divenute uno dei poli più importanti del turismo marchigiano, oltre che un vanto del nostro patrimonio naturalistico nazionale.

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