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Cronaca Corinaldo

Strage di Corinaldo, a processo ecco nuovi nomi: «Anche loro per fare rapine con noi»

Si è tenuta oggi l'udienza del processo per la strage di Corinaldo, in cui il Gup ha ascoltato gli indagati della banda, accusata di aver creato il panico all'interno della discoteca Lanterna Azzurra

«Erano in macchina con me, abbiamo scelto la Lanterna Azzurra perché era  un locale poco conosciuto e perché eravamo tranquilli di non incontrare i gruppi di Milano, Torino e Genova. Ho cercato anche di dissuadere Haddada dal presentarsi perché io ero già d’accordo di andare con gli altri». A parlare dal banco degli imputati è Andrea Cavallari, riferendosi a “gli altri”. Chi sono? Giovanissimi, i cui nomi sono emersi oggi per la prima volta durante il processo della Strage di Corinaldo. Nell’udienza svoltasi al 5° piano del tribunale dorico con rito abbreviato, il giudice Paola Moscaroli ha ascoltato i 6 imputati della così detta “banda delle collanine” proveniente dalla Bassa Modenese. Gli stessi che i carabinieri del Reparto investigativo hanno arrestato il 2 agosto scorso per aver scatenato il panico nella discoteca Lanterna Azzurra dove, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018, morirono la giovane mamma Eleonora Girolimini e 5 minorenni: Mattia Orlandi, Daniele Pongetti, Asia Nasoni, Emma Fabini e Benedetta Vitali. 

Da Modena con almeno 3 auto

Dunque in quella maledetta notte c’erano più di 6 giovani pronti a fare furti sulla pista da ballo. Tanto che le auto erano 3. Stando a quanto raccontato dagli accusati, nella prima c’erano Mormone, Di Puorto, Amouiyah e il giovane morto durante le indagini. Nella seconda auto c’erano Cavallari, Akari e altri due ragazzi: uno sarebbe stato solo pagato per fare l’autista, mentre l’altro avrebbe partecipato attivamente ai colpi. Infine una terza auto, dentro la quale c’erano Haddada, in compagnia di un terzo e un quarto componente della banda. Così la gang sarebbe stata composta da almeno 10 persone. Anche perché gli stessi imputati hanno raccontato come alcuni membri fossero intercambiabili a seconda delle esigenze. 

«Eravamo gruppi rivali»

Eppure Cavallari ha parlato chiaramente: «Eravamo gruppi rivali. Quella volta avevo cercato di convincere Haddada a lasciare perdere Corinaldo perché ci andavamo noi. Siamo arrivati dopo la mezzanotte ed ero infastidito dal fatto che ci fosse anche lui, ci siamo salutati con un cenno della testa e abbiamo iniziato a rubare le collane». Una versione che non convince i pm titolari dell’indagine Paolo Gubinelli e Valentina Bavai, che hanno chiesto come fosse possibile che dei ragazzi che si conoscevano da sempre, si ritrovassero nella stessa serata a 200 chilometri di distanza e nella stessa discoteca dove si sarebbe dovuto esibire Sfera Ebbasta. «Chi svolge questa attività illecita - ha risposto con fermezza Cavallari - si serve di 2 elementi: un alto numero di presenti e il caos. Gli artisti garantiscono caos, per cui, quella serata era appetibile, sono condizioni ideali per fare furti e quindi è risaputo che si incontrano altri gruppi, senza che ci si debba mettere d’accordo». 

Scambio di accuse su chi ha usato lo spray al peperoncino

Intanto i 6 imputati restano accusati di omicidio preterintenzionale, associazione per delinquere, lesioni personali e una quarantina di rapine e furti con strappo commessi in varie discoteche d’Italia, sempre con l’uso dello spray urticante per generare confusione. Ma nessuno si è assunto la responsabilità di aver spruzzato quel gas nell’aria. Per gli inquirenti è stato Di Puorto perché la bomboletta spray rosa, ritrovata dai carabinieri in mezzo alla pista della discoteca, era proprio del 19enne casertano, considerato leader della banda. C’era anche una sua impronta digitale «Certo perché la bomboletta era mia, la usavo per difendermi dai gruppi rivali, ma non sono stato io a usarla quella notte. Amouiyah mi ha chiesto il permesso di prenderla e io ho acconsentito. Poi siamo entrati, ho provato a rubare una catenina ma ci hanno scoperto, ci siamo divisi e siamo usciti: non potevamo stare lì perché ormai ci avevano visto e se fossimo rimasti ci avrebbero cercato i buttafuori. Sono uscito da una porta di sicurezza per fumarmi una sigaretta, poi volevo rientrare, ma ho sentito delle urla, pensavo ad una rissa, quando sono arrivato alla macchina ho sentito le sirene delle ambulanze». Di Puorto non nega, come anche gli altri, di essere stato lì per rubare, ma nega di aver usato lo spray e, a domanda della pubblica accusa, ha risposto commosso: «Lo so che sono morte 6 persone, anche io ho un fratello, anche io ho perso qualcuno e non so se sono innocente o colpevole perché lo deciderà il giudice, ma sono certo: io non ho fatto niente per far accadere quanto poi è avvenuto». Anche Haddada, parlando di chi avesse usato lo spray al peperoncino, ha fatto il nome di Amouiyah. «Gli altri dicevano che era stato lui. A quel punto l’ho chiamato e lui ha negato, ha detto di non sapere nulla e poi ha chiuso il telefono».

La testimonianza choc: «Mi avevano avvisato che volevano incastrarmi»

E se Di Puorto e Haddada gettano ombre sul ruolo di Amouiyah, quest’ultimo ha raccontato di essere stato avvisato in carcere che qualcuno, a processo, avrebbe cercato di incastrarlo. «In carcere a Modena ho scoperto che Ugo si era messo d’accordo per darmi la colpa. Un detenuto della sezione 8 me lo ha detto. Io non ho avuto in mano la bomboletta. Non ho spruzzato quella bomboletta. Sono in carcere ma io non ho fatto nulla per causare questo, non ho ucciso queste persone. Riesco a dormire solo con psicofarmaci. Penso a questi ragazzi. Non so perché dicono che avessi io la bomboletta. Mi scuso per quanto successo ma bisogna trovare il colpevole. Io non ho fatto niente che possa aver causato tutto questo. Sono uscito prima che succedesse». Prossima udienza 25 giugno.

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