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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Contrabbando, un cachet da 6mila euro a clic. Il doganiere: «Non ho mai preso quei soldi»

L'uomo ha ammesso i fatti contestati durante l'udienza di convalida dell'arresto, ma ha riferito di cifre molto più basse così come il numero di operazioni effettuate

Sei mila euro per ogni click. E i click con cui dal suo pc avrebbe fatto sparire dai tracciati italiani i carichi industriali di bevande tra il 2015 e il 2016 sarebbero ben 36. Queste le cifre contestate dal pm Mariangela Farneti al funzionario della dogana, un 65enne residente ad Ancona, finito in manette con l’accusa di aver fatto parte di una organizzazione internazionale dedita al contrabbando di alcolici. Stamattina (giovedì 21 settembre) l’uomo, assistito dagli avvocati Ugo Pierlorenzi e Paolo Tartuferi (in foto), ha incontrato in carcere il gip Antonella Marrone per l’udienza di convalida dell’arresto. Da sinistra Paolo Tartuferi e Ugo Pierlorenzi-2Ha ammesso i fatti, ma ha respinto la ricostruzione numerica. «Non ho mai preso tutti quei soldi» ha detto al giudice, precisando di ricordare poche operazioni tra gennaio 2015 e giugno 2016, ma soprattutto di aver ricevuto solo delle briciole per ogni commessa.

La struttura criminale dell'organizzazione

I rapporti e le gerarchie dell’organizzazione sono stati ricostruiti attraverso intercettazioni telefoniche. Al vertice del sistema ci sarebbe un 53enne catanese residente a Birmingham, referente estero per l’Inghilterra e i Paesi Bassi. Era lui, secondo i finanzieri, a incaricare alcuni “luogotenenti” con un accordo economico di 12mila euro per ogni commissione. I soldi, una parte in sterline cash, venivano trasportati da due corrieri: un 34enne polacco e un 60enne italiano. L’ordine arrivava così al referente per l’Italia, un 58enne umbro, maresciallo dell’esercito. Quest’ultimo attivava i suoi solidali in diverse parti d’Italia, tra cui titolari di ditte di alcolici e referenti di alcune organizzazioni rumene. Il canale dorico era composto da cinque persone: uno spedizioniere 38enne anconetano (ora in carcere), che agiva referente locale e attivava a sua volta il vigilante 56enne residente a Osimo (ai domiciliari). Della catena facevano parte anche due dipendenti della società di spedizione anconetani, rispettivamente di 35 anni (ai domiciliari) e 38 anni (indagato a piede libero). Il funzionario doganale era quindi l’ultimo anello della catena locale, ma il più importante. Con un tasto del computer avrebbe falsificato i documenti “e-AD” facendo risultare ogni carico sottoposto alla sospensione delle accise. Secondo i finanzieri i componenti della filiera anconetana avrebbero percepito il compenso di 6mila euro per ogni prestazione. Tutti, ad eccezione del 38enne indagato a piede libero. Lui avrebbe ricevuto compensi pattuiti di volta in volta in base al valore della merce falsamente esportata.

"Operazione Meeting": l'indagine della Guardia di Finanza - VIDEO

Quattro milioni nascosti al fisco

L’operazione denominata “Meeting” conclusa dalla guardia di finanza di Rieti, alla quale hanno collaborato anche le fiamme gialle del G.I.C.O. di Ancona, ha coinvolto 11 indagati. Cinque persone si trovano in carcere, due agli arresti domiciliari e quattro in stato di libertà. Secondo le accuse, il sistema avrebbe fatto circolare 1.200 tonnellate di alcolici sul territorio nazionale ed europeo per un volume di affari vicino ai 6 milioni di euro e un “risparmio” di accise ed I.V.A pari a 4 milioni. Il carico infatti risultava imbarcato ad Ancona con destinazione Africa Centrale, ma in realtà non lasciava l’Europa. Questo però il fisco non lo sapeva perché, secondo i finanzieri, il doganiere falsificava telematicamente i documenti di accompagnamento della merce.

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