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Cronaca

Viaggio nella Fermo di Mancini: «Temevamo che prima o poi sarebbe successo»

Dopo l'omicidio di Emmanuel il borgo nel sud delle Marche prova a capire come sia stato possibile finire su tutte le prime pagine con il bollino di "città razzista". Chi conosce Amedeo lo dipinge come "un violento, un provocatore" ma anche come un "debole" vittima di "pericolosi estremismi"

FERMO - La morte di Emmanuel è un "omicidio razzista". E' questo il refrain ripetuto da siti, quotidiani e tg. Come anche dalla Presidente della Camera Laura BoldriniMa non per Fermo. La città di Amedeo Mancini, il 39enne fermato con l'accusa di aver ucciso il cittadino nigeriano davanti agli occhi della moglie da lui insultata, non vuole bollini. Non vuole etichettature. Il motivo: conosce Amedè, sa chi è e di cosa si nutre. Il borgo nel sud delle Marche non è una metropoli. Non arriva a 40mila abitanti. A Fermo si conoscono tutti. E sanno che Mancini avrebbe potuto dare della "scimmia" alla moglie di Emmanuel come avrebbe potuto insultare una persona qualsiasi durante una serata al pub. Amedeo Mancini era un agricoltore che, finito il lavoro nei campi, si trasformava in un "provocatore" che si nutriva di violenza

Nella antica roccaforte papalina, dove la destra e la sinistra non hanno mai eguagliato la forza del potere ecclesiastico e dove oggi governa una coalizione di forze trasversali, il sentimento é ben diverso da quello che emerge dalle cronache nazionali. «Amedeo qui non ha mai creato problemi, mi sembra che la cosa sia stata amplificata - ha detto Gloria Tonici, dipendente del bar DolceAmaro, dove ogni tanto si fermava a bere Amedeo Mancini - Qui problemi con gli stranieri non ci sono, più che contrasti con gli immigrati, siamo noi che li sopportiamo. Quindi il problema di razzismo mi sembra relativo. Vorrei vedere le fiaccolate anche a parti invertite perché non mi pare che ci sia lo stesso clamore per gli italiani vittime di immigrati». 

Fermo, il dramma di Emmanuel

La "politica" non c’entra anche per il noto architetto fermano Livio Valentini, che ha lo studio vicino al centro storico, dove vedeva spesso girare Amedeo Mancini: «Si parla di fascismo e razzismo puntando il dito contro il mostro, frutto presunto della dialettica di alcuni cattivi maestri che siedono in Parlamento, ma la verità è che razzismo e fascismo sono componenti minoritarie della faccenda. Il cuore del problema è che a Fermo, come dappertutto, nascono o crescono soggetti con un tasso di pericolosità sociale che travalica il limite sottile tra normalità e anormalità, che non hanno un vero partito, che non hanno un vero credo, ma può capitare che si appiglino a qualche slogan pur di avere una scusa per sfogare la loro aggressività. Qui si tratta solo di persone con dei disagi, alcune delle quali socialmente pericolose. Punto. Tutto il resto è speculazione politica».

I funerali di Emmanuel al Duomo di Fermo

Ne è convinto anche il titolare della trattoria “La Locanda del Palio” Carlo Nicolai, che conosce Mancini come cliente: "Purtroppo è successa una cosa tragica che non doveva accadere, ma personalmente penso che la politica non c’entri nulla. Mancini è una persona molto semplice, un bambinone con un retroterra culturale arretrato. Si poteva professare di qualsiasi natura politica ma lo faceva più per l’idea di essere contro che per il fatto che ci credesse davvero".

E nella sua vita Mancini ha creduto a diverse idee infatti perché, se è vero che durante l’aggressione portava una maglietta di Casa Pound, è pur vero che molti ricordano come da ragazzo frequentasse gli ambienti di sinistra, anche radicale. «Amedeo non ha appartenenze politiche, il razzismo non c'entra nulla, non è il mostro che stanno descrivendo» dicono quasi in coro quelli del bar Emilio di corso Marconi, dove il 39enne si recava tutti i giorni.

«Io Amedeo lo conosco da anni» dice subito Luca Testoni della pizzeria Pizzicosa in piazza Azzolino. «Un esuberante che non ha ideali politici» dice qualcuno. Sembra un’altra persona. Invece è la stessa che lo scorso 7 luglio ha incrociato lo sguardo di Emmanuel, ha insultato la sua compagna ed è scoppiata una colluttazione, sulla cui esatta dinamica indaga la Procura di Fermo. Fino al tragico epilogo:

Emmanuel è morto. Per mano di quell’agricoltore fermano cresciuto in quelle quattro mura. Un "provocatore" che trovava nella violenza il modo per sentirsi vivo.

In un bar, come anche allo stadio. Già, perché nel passato di Mancini ci sono anche i precedenti penali per tafferugli da stadio e violenze di vario tipo. Lo hanno chiamato ultrà. Ma ne sono passati di anni da quando aderiva alle “Brigate”. Un curvaiolo, certo, ma da cane sciolto. E forse c’era anche chi aveva imparato bene a sfruttare quell’indole violenta a proprio vantaggio. Magari in passato per attaccare una società sportiva e di recente nell'ambito dei movimenti politici. Vanno in questa direzione le parole del sindaco Paolo Calcinaro quando dice: «Quello che posso dire di Amedeo Mancini è che non è una persona capace di formarsi culturalmente in proprio. Bisogna quindi interrogarsi sul clima che c’è in Italia, capace di indurre qualcuno un po’ più debole ad avvicinarsi a certi estremismi». Resta una domanda alla quale, purtroppo, non si putrà mai dare risposta: come si sarebbe potuta evitare la morte di un migrante che era riuscito a scampare da uno degli angoli più bui della terra? Chi conosce bene Amedè, come Pierluigi Eleuteri de “L’Open” in piazza del Popolo, risponderebbe con una triste considerazione:

Che prima o poi Mancini la potesse combinare grossa ce lo potevamo aspettare.

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