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Cronaca

Omicidio Goffo: secondo l’accusa Binni incastrato dal cellulare

Il pomeriggio del 5 maggio 2010, quando secondo le ricostruzioni avveniva l'omicidio, il cellulare del tecnico della polizia agganciò la stessa cella presa da quello della donna a Colle San Marco

Ad incastrare Alvaro Binni per l’omicidio di Rossella Goffo sarebbe – secondo l’accusa – il telefonino. Il pomeriggio del 5 maggio 2010, quando secondo le ricostruzioni degli investigatori avveniva l’omicidio, il cellulare del tecnico della polizia agganciò la stessa cella presa da quello della donna a Colle San Marco, luogo in cui poi venne ritrovato il cadavere della donna da un cane da tartufo, il 6 gennaio 2011. Binni, infatti, ha sempre negato di essere stato lì con la Goffo.
Tra Alvaro Binni e Rossella Goffo – si legge nelle conclusioni dell'ordinanza del gip di Ascoli Carlo Calvaresi –  c'era un "vecchio e movimentato sodalizio amoroso", anche sei rapporti fra i due erano "complicati e patologici". Sarebbe dunque questa la molla che avrebbe fatto scattare la furia omicidia.

LA VICENDA. La Goffo sparisce da Ancona il 4 maggio del 2011. Secondo l'accusa si incontra con Binni e poi, dopo aver parcheggiato la sua auto nei pressi della Prefettura, sale su quella dell'uomo per raggiungere Ascoli, pensando di trasferirsi in una casa dove avviare con lui una convivenza. Ne è così certa da aver avvertito il marito, un uomo orami "rassegnato".
"In realtà - scrive il gip - si trattava di un modo che Binni aveva escogitato per placare l'ardore dell'amante, fingendo di assecondarla al fine di evitare che la donna affrontasse di nuovo sua moglie". Il tecnico e la funzionaria si conoscono a Rovigo, città d'origine di lei. Poi Binni torna ad Ascoli, dove vive la sua famiglia, e Rossella, pur di continuare a stargli vicino, chiede e ottiene un trasferimento ad Ancona. Lei "fa di tutto per mantenere vivo il rapporto", minacciando anche di rivelare alla moglie del compagno "ogni particolare della loro relazione e arrivando a simulare l'esistenza di una figlia di cui il suo amante sarebbe stato padre".
Una foto di 'Alessia', una bimba in realtà mai nata, sarà ritrovata in uno scatolone nascosto da Binni proprio sotto al naso dei colleghi, nello scantinato della Questura di Ascoli, insieme a varie foto e a lettere che i due si sono scambiati, a testimonianza di una "importante e agitata relazione tra i due, banalizzata invano da Binni" per allontanare i sospetti da sé.
Quel che è certo, è che l'uomo, arrivato persino a denunciare l'amante per molestie telefoniche, "salvo poi pagarle l'oblazione estintiva del reato", è "giunto veramente al limite della sopportazione umana", come ammette lui stesso in un interrogatorio. Per questo già una volta era quasi arrivato a strangolare la donna. Cosa che, secondo l'accusa, gli riesce il 4 maggio 2010.

Fonte: ANSA
 

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