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Cronaca

Lui determinato ad uccidere, lei leader occulto. Il killer: «Ora diventiamo famosi»

Scrive così il Gup di Ancona nelle motivazioni della sentenza di condanna a 20 anni di Antonio Tagliata, definito lucido e spietato, per il duplice omicidio premeditato dei coniugi Giacconi

Erano trascorse 7 ore dal momento del delitto, quando i due si stavano scambiando promesse d’amore, baci e tenere effusioni nella caserma Provinciale dei Carabinieri. Lui cercava di tranquillizzare lei e poco contava quanto accaduto poco prima, al quinto piano di via Crivelli 9 perché l’unica cosa importante era che, da lì in avanti, sarebbero potuti stare sempre insieme. «Ti rendi conto amore adesso diventiamo famosi». E’ una delle frasi intercettate dai militari e proferite da Antonio Tagliata, il 19enne condannato a 20 anni per aver ucciso i genitori della fidanzatina (anche lei condannata a 16 anni) Fabio Giacconi e Roberta Pierini a colpi di pistola. «Gli ho visto il buco, c’era tanto fumo» aveva detto parlando con un familiare. E poi «Lui chiedeva aiuto e gridava come una gallinella» riferendosi a Giacconi. Frasi determinanti per stabilire come Antonio Tagliata fosse “in grado di ricordare la dinamica del duplice omicidio, di riferire, con distacco e un certo sarcasmo, dettagli atroci e inquietanti delle sue azioni e delle reazioni delle vittime”. Scrive così il Gup di Ancona Paola Moscaroli nelle motivazioni della sentenza di condanna del giovane anconetano, definito lucido e spietato. Un killer a sangue freddo con una certa dimestichezza con le armi, maturata anche su internet dopo aver visionato 284 tra immagini e video di armi col cellulare. Dunque determinato ad uccidere. Tanto che, di fronte alla sorella disperata per non essersi accorta di cosa stava covando il fratello, Tagliata aveva risposto: «Se non era oggi era domani, se non era domani era un altro giorno». Per il giudice, Tagliata è “salito nell’appartamento dei coniugi Giacconi, con fredda determinazione ha realizzato il proposito di liberarsi di coloro che ostacolavano il suo rapporto con la fidanzata, non ha agito per paura di un atteggiamento minaccioso del padre di lei visto che i primi colpi li rivolge contro la madre; ogni colpo è mirato e 7 su 9 centrano parti vitali delle vittime, spara a distanza ravvicinata e non si ferma, neppure quando le persone offese sono già a terra, incurante delle grida di dolore e delle richieste di aiuto, quindi scappa con la fidanzata”. Già lei, descritta dal Gup minorile come “leader occulto” del rapporto di coppia, in grado di condizionare fortemente, fino ad istigare l’azione di Antonio. Sarebbe infatti stata lei a gridare “Spara, spara” quando, mentre il litigio degenerava, il padre si era avvicinato minaccioso verso di lui. 

PERIZIA SCONFESSATA. La difesa ha sempre sostenuto come il giovane stesse male, al punto da volersi suicidare e che avrebbe sparato perché intimorito da Giacconi, che mal digeriva la simbiotica relazione con sua figlia. Ma se Tagliata avesse voluto togliersi la vita, perché dotare la Beretta di 16 colpi in canna corredata da decine di munizioni sufficienti per compiere una strage? E ancora, se il ragazzo avesse avuto davvero timore del militare dell’Aeronautica, tanto da procurarsi un’arma, perché andare proprio nella tana del lupo, a casa dei genitori di lei? Domande che hanno portato il giudice ad allontanarsi dall’idea di un delitto d’impeto per aprire la strada ad una certezza: è stata una vera e propria esecuzione. Viene così sconfessata anche l’analisi dello specialista Vittorio Melega che, nella sua perizia, sosteneva come, al momento di fatti, il killer avrebbe sofferto di una infermità identificata come “disturbo generalizzato dello sviluppo”, tale da compromettere le sue capacità di intendere e di volere. Ipotesi contestata dalla Procura di Ancona e accolta dalla toga per due motivi. Il primo perché il perito sarebbe partito da una premessa inconsistente, cioè le lettere in cui il ragazzo confessava il delitto. Melega avrebbe preso per buono il fatto che fossero state scritte in momenti diversi e come questo avrebbe testimoniato uno stato d’animo confuso e una insufficienza mentale vicina all’autismo. Peccato che era stato proprio Tagliata a domandare se gli investigatori avessero trovato i suoi biglietti. Lo aveva chiesto con puntualità in un colloquio con i genitori poche ore dopo il fermo. Parole cristallizzate con bonifiche ambientali di cui, sempre secondo il giudice, lo psichiatra bolognese non ha mai tenuto conto. Ed ecco il secondo motivo che ha portato il giudice a dubitare della perizia. Anzi, il fatto che Tagliata, in sede di colloquio con Melega, offra una versione diversa  circa il momento e il luogo di redazione dei fogli manoscritti “appare espressione di una strategia difensiva” legata al peso che quegli scritti hanno avuto nel determinare l’aggravante della premeditazione. 

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