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Cronaca Senigallia

Mazzoni, l'uomo accusato di stalking: provò a rivivere l'"amore" con la moglie uccisa

Il giudice del tribunale penale di Ancona ha già fissato tutte le udienze del processo da qui fino ai prossimi 3 mesi, per un processo che si preannuncia dai tempi record

Chiuse le indagini del pm Ruggiero Dicuonzo, si apre un processo lampo per Jurgen Mazzoni, 42 anni di Senigallia (provincia di Ancona), accusato di aver perseguitato per mesi una ragazza 23enne della sua stessa città, costituitasi parte civile insieme ai genitori tramite gli avvocati Ruggero Tomasi e Mary Basconi, che chiedono un risarcimento di 60mila euro. Il giudice monocratico Elisa Matricardi ha già fissato tutte le udienze da qui fino ai prossimi 3 mesi. Un processo dai tempi record per uno stalking pesantissimo interrotto nel novembre scorso dalla Squadra Mobile della Polizia di Ancona che, diretta dal capo Carlo Pinto, ha arrestato il 42enne prima che valicasse il punto di non ritorno. Prima che uccidesse di nuovo. Era il timore degli inquirenti perché questa non è la storia di un comune stalker, ma di un uomo che nel 2001 aveva strangolato e ucciso la giovane moglie dopo che questa lo aveva lasciato.

L'omicidio 

Dobbiamo tornare al 2000 quando Jurgen Mazzoni divenne padre all’età di 23 anni e guardava ad un futuro felice insieme all’amore di allora, quello per Maria Federica Gambardella, rimasta incinta quando aveva appena 17 anni. Un amore tanto giovane quanto precario. Soprattutto per un’adolescente che non si sentiva affatto pronta per ricoprire il ruolo di madre e ancor più quello di moglie mentre Jurgen aveva regolato tutti i suoi orari lavorativi e di vita in funzione della moglie e della figlioletta. Lo confermò anche il vicino di casa Vito Minnuto che, ascoltato nelle investigazioni difensive dell’avvocato Marina Magistrelli nel febbraio 2002, raccontava come “la moglie fosse fuori a ballare con gli amici mentre lui stava sempre con la figlia”. Il 15 agosto del 2001 lei lo lascia. Uno choc per lui che nei giorni successivi cercò di riconquistare la moglie scrivendole anche una lettera. Mazzoni aveva tracciato un solco pericoloso tra un inscindibile binomio padre-figlia e la madre diventata ormai antagonista. Era arrivato ad odiare ed amare allo stesso tempo mentre cresceva in lui l’incubo di essere abbandonato da moglie e figlia: “l’unico scopo della mia vita” come da lui stesso dichiarato nell’udienza del processo scaturito dai fatti del 18 agosto del 2001. Quella sera appunto, quando oramai Jurgen e Maria Federica non vivevano più insieme, lei si recò alla casa coniugale in via Raffaello Sanzio 199, per un confronto finale. Scoppiò un litigio e Jurgen si trasformò: dal marito apprensivo e gran lavoratore che tutti conoscevano, divenne assassino spietato. Si è avventato su Federica. Prima l’ha strangolata, poi ha denudato il corpo e l’ha messa nella vasca da bagno. Stando agli accertamenti peritali del medico legale, avvenne tutto tra le 21,15 e le 21,30, mentre il cellulare da cui Federica non si separava mai aveva continuato a squillare. Era il padre Ermanno. Ma a cercarla era stato anche il suo amico Max, che quella sera aveva appuntamento con lei in un locale di Senigallia alle 22,30 e la cui testimonianza sarebbe stata determinante ai fini delle indagini. Quando Max arrivò all’appuntamento Federica non c’era, anzi, dopo poco arrivò Jurgen, che non solo si intrattenne con gli amici della ragazza, ma si unì a loro per una battuta di ricerca durata fino a tarda notte, quando Mazzoni tornò a casa per completare il lavoro. Ha portato di peso il corpo di Federica e lo ha caricato nella sua Alfa, danneggiando anche la parte posteriore per fare una retromarcia. Se ne accorgeranno i poliziotti del Commissariato di Senigallia. Poi si è diretto alla frazione San Gaudenzio e gettato il corpo in una scarpata.

Processo Jurgen Mazzoni

Le indagini e l’intuizione del dirigente di Polizia

A dirigere le operazioni c’era l’allora dirigente di Polizia Piernicola Silvis. A lui Mazzoni confermò di aver ricevuto la moglie intorno alle 21,15  e che questa se ne fosse andata un quarto d’ora dopo. Ma in quel momento poliziotto notò qualcosa di strano. Mentre ribadiva con serenità della moglie, Mazzoni si era passato la mano sul mento. Forse un banale movimento involontario. Ma non per Silvis che conosceva i segreti del linguaggio del corpo ed era convinto di una cosa: quella movenza rappresentava la ricerca di un contatto con il proprio corpo per ritrovare una sicurezza che si perde nel momento in cui si mente guardando negli occhi una persona. Così Silvis interruppe l’interrogatorio e si rivolse a al Mazzoni: “Aspetti, scusi ma mi ero distratto per un attimo, può ripetere quest’ultimo passaggio?”. Mazzoni non si scompose e ripeté la stessa cosa passandosi ancora la mano sul mento. Per il poliziotto non c’erano più dubbi. Mazzoni era l’ultima persona ad aver visto la donna scomparsa e stava mentendo. In un attimo divenne il sospettato e fu la svolta. Ma serviva una prova e scattò la trappola. Silvis convocò l’uomo il giorno successivo in presenza delle unità cinofile spiegandogli come quelli fossero cani addestrati a cercare cadaveri nelle cave più remote. Dopo pochi minuti Mazzoni ammise: “Sì, l’ho ammazzata io, l’ho strangolata con le mie mani”. Subito dopo fu il 25enne a condurre gli inquirenti nel punto esatto dove pochi giorni prima aveva lasciato il corpo della donna, avvolto in un telo azzurro stretto da un filo elettrico.

Dal blog: Molestie sessuali e violenza di genere, come intervenire sugli uomini

La sentenza di condanna e il carcere

Alla fine del processo, il 20 settembre del 2002 il Gup Sergio Cutrona condannò con rito abbreviato Jurgen Mazzoni per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere alla pena di 16 anni e 4 mesi di reclusione. Sentenzia impugnata dall’avvocato Magistrelli che, in Corte d’Assise d’Appello, riuscì a diminuire la pena a 14 anni e 8 giorni di reclusione in carcere. Anche se fu sempre respinta la richiesta di perizia per verificare l’incapacità di intendere e di volere perché il giudice era convinto che Mazzoni avesse agito con “estrema lucidità, sangue freddo e scaltrezza con cui l’imputato si è comportato nei momenti immediatamente successivi al delitto e nella notte dello stesso (…)”. Fatto sta che per Jurgen Mazzoni si spalancarono le porte del carcere dove ha scontato 8 anni a seguito di tutta una serie di riduzioni di pena per buona condotta, un indulto e, nel settembre del 2009, l’affidamento in prova ai Servizi Sociali disposto dal Tribunale di Sorveglianza. Tornato libero nel 2010, Mazzoni non ha mai creato problemi, almeno fino al 2015, quando ha conosciuto quella ragazza di 22 anni, studentessa fuori sede a Firenze.

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