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Cronaca

Dispersi dall'Olocausto, si ritrovano ad Ancona (grazie anche a Facebook)

I discendenti della dinastia Russi, approdata ad Ancona nel '700 e dispersa nel '900 dalla Shoah, si sono rintracciati negli Usa, in Francia, Germania e Italia e si sono incontrati nel capoluogo per un viaggio nella memoria collettiva e familiare

Elena Zevi ha 93 anni, il nome scritto su un cartellino e un sorriso contagioso: "È meraviglioso ritrovarsi qui, dopo 70 anni. Venivamo dagli zii ad Ancona per la Pasqua ebraica".
Emma e Tea Bert, le più piccole, hanno 4 e 2 anni. David Russi arriva da Denver e non smette di scattare fotografie. Franca Russi, novantatreenne anche lei, è dovuta restare a casa, ma ricorda come fosse ieri "il 22 settembre 1943, quando i tedeschi vennero a portare via mio padre Giacomo, e mio fratello Sergio", internati nel campo di smistamento di Meppen Versen e mai più tornati.
Poi c’è la scrittrice Manuela Vitali Norsa Dviri, emigrata a 20 anni in Israele, madre di Yoni, ucciso in Libano nel 1998 dagli Hezbollah: "ognuno ha il suo prezzo da pagare, Yoni è stato il mio".
Ebrei di seconda e terza generazione, discendenti degli 11 figli di Davide e Sara Russi, una famiglia di industriali farmaceutici di origine dalmata, approdata ad Ancona nel '700 e dispersa nel '900 dalla Shoah, si sono rintracciati negli Usa, in Francia, Germania e Italia.
Grazie a un articolo della Dviri e a Facebook si sono conosciuti e ritrovati tutti ad Ancona, per un viaggio nella memoria collettiva e familiare a tratti sorprendente.

Ad esempio non tutti sapevano della militanza "fascista e antisionista" di Giacomo Russi, figura mitica della farmacologia nazionale: aveva aderito al Comitato degli italiani di religione ebraica e forse (così crede la figlia Franca) a denunciarlo fu "la concorrenza", gelosa dei suoi prodotti di successo, la Sanalepsi, la Spirillina, il Ferrochina-Russi.
Fra le tante storie quella di Manuela, pacifista, collabora con l'associazione Saving Children che in 10 anni ha curato in ospedali israeliani 10 mila bambini palestinesi. "Lo faccio soprattutto per un senso di giustizia: quello che è successo ai nonni e ai miei genitori apparentemente non c'entra, e invece c'entra moltissimo". E' lei, insieme all'architetto Giovanna Salmoni, figlia di Claudio, primo sindaco della ricostruzione ad Ancona, ad aver organizzato il raduno di una sessantina di parenti, che ha avuto il momento clou nella visita a quel che resta della fabbrica, l'"Arco dei Russi", inglobato nella sede della Guardia di Finanza in Lungomare Vanvitelli.
Alessandro Bedarida, da Monaco, ha ricostruito l'albero genealogico della famiglia: "chi non vuole conoscere le proprie radici, le proprie tradizioni...".
Scorrono cognomi come Zevi (Giorgio è stato fra i fondatori della casa editrice Adelphi), Camerini, Ascoli, Cagli, mentre una Russi acquisita è Frida Di Segni, sorella del rabbino capo di Roma. Dagli Usa sono arrivati David Phillip Russi e l'architetto Andrew Tesoro, da Parigi Roberta Russi.

"E' stata una scoperta vedere che tutti volevano riempire quel 'buco'" osserva Dviri, "riallacciare i legami spezzati fra il 1938 e il 1945, gli anni in cui alla nostra famiglia è stato tolto tutto. Mia madre Giuliana avrebbe voluto fare il medico ma venne allontanata da scuola con le leggi razziali. Era bravissima, si diplomò da privatista ma quando la guerra finì era troppo tardi per iscriversi all'università. Mio padre Emanuele, a Padova, invece che l'avvocato fu costretto a fare il pellicciaio, un mestiere che odiava. E' stato partigiano, ma non è riuscito più a fidarsi fino in fondo...ha fatto l'impossibile perché io e mia sorella andassimo in Israele".
Fra i Russi del Duemila ci sono farmacisti, architetti, avvocati. Molti matrimoni misti, alcuni ebrei osservanti. Nei diari che Dviri ha consultato per il libro che sta scrivendo spiccano "grandi e piccole ingiustizie": lo smantellamento di una fabbrica nota anche in Germania per gli studi pionieristici sulle malattie infettive; lo stupore della madre e della zia Bice "che si erano fatte fare due bei golfini rosa e bianchi ma furono rimproverate da uno zio: 'noi ebrei non dobbiamo metterci in vista'". E più ancora, il constatare che in Italia "non ci furono che so, 100 presidi capaci di ribellarsi alla cacciata degli studenti ebrei".

La gran parte dei Russi, nascosti nelle case di contadini a Treia, Loreto, Camerano, o in Svizzera, si salvò: "vendendo tutti i gioielli, pagando". Non così l'azienda fondata da Jacob, emigrato da Ragusa, nel 1845. Grazie alle intuizioni di Davide e poi di Giacomo Russi e alla prima distribuzione farmaceutica moderna, la Russi & C. di via Saffi negli anni '40 aveva 600 dipendenti. Diventata 'Società Anonima Farmaceutica Italiana' con le leggi razziali, aveva un capitale sociale di 8 milioni, e faceva ombra a marchi come Linetti e Robert's e Farmitalia. Poi il declino. Nel novembre del 1943 un bombardamento distrusse lo stabilimento, in quel momento deserto. Resta solo l'arco. "Primo Levi - ricorda Dviri - l'ha spiegato bene: cosa potevano dire quelli che sono tornati, se non 'mi sono salvato'. Sono stati zitti, non si poteva 'tenere il broncio' per tutta la vita. Io cerco di capire cosa è stato il ritorno".

All'Italia, non a quegli italiani che ai Russi hanno dato un appoggio, "forse è mancata una riflessione profonda, una presa di coscienza degli errori del passato: le leggi sulla razza, i campi di internamento, le deportazioni. Ma così un Paese non cresce, e a Lampedusa c'è anche chi fa jogging fra i cadaveri dei migranti".

(ANSA)

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