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Cronaca

Vescovo Spina: «I fedeli sono impauriti, non ce la fanno più a vivere senza andare a messa»

In una lunga intervista il vescovo di Ancona spiega perché la comunità cristiana sta spingendo per tornare a messa e racconta l’impegno per i più poveri: triplicato il numero di chi si rivolge alla mensa

«I fedeli non ce la fanno più a vivere senza andare in chiesa, come il corpo non può vivere senza cibo, anche l’anima non può vivere senza l’Eucarestia e la messa. E’ un digiuno di mesi diventato ormai insopportabile».

Con queste parole l’arcivescovo della diocesi Ancona-Osimo Angelo Spina si fa portavoce della sofferenza dei fedeli che, in questo periodo di quarantena forzata, vedono la riapertura di fabbriche e centri commerciali, ma non quella dei luoghi di culto. Intervistato da AnconaToday monsignor Spina racconta la difficoltà della comunità religiosa anconetana e di come lui e la curia, insieme alla Caritas, siano vicini a chi tende una mano per chiedere aiuto. 

E’ dunque così importante tornare a messa? «Ma certo, è come tenere un corpo senza cibo. Le chiese sono sempre state aperte, sia prima che durante l’emergenza, anche se ancora non sono possibili le celebrazioni. Si sta riaprendo ora la trattativa tra Conferenza episcopale e il Governo, per cui credo avremo un quadro più chiaro nei prossimi giorni».

Ma non si può pregare a casa senza correre alcun rischio? «Non c’è dubbio che la parola di Dio e la preghiera sono cose che si possono fare anche personalmente nella chiesa domestica quale è la casa, ma per i fedeli la celebrazione eucaristica non è soltanto per il popolo, ma con il popolo, è l’incontro reale con il Signore, che incontriamo anche qui con la preghiera, ma lui lì è realmente presente. E allora, come il corpo ha bisogno di cibo, così l’anima ha bisogno di questo cibo spirituale che non può mancare».

E quel cibo spirituale lo ritroviamo solo nella messa? «Sì, nella messa e nell’Eucarestia. Che poi la santa messa è fonte e culmine della vita cristiana e da lì noi attingiamo tutto il nostro il nostro vivere, anche la carità che noi facciamo, non è la carità delle Ong, è una carità che parte dal sacrificio di Cristo, da quel pane che si spezza, che ti nutre e ti dà al forza di fare un cammino così, come ha fatto Cristo».

Insomma è per questo che per lei è necessario tornare alla messa. «Ma certo, questo è quello che noi chiediamo e lo chiediamo nel rispetto di tutte le normative. Ora come ci sono normative per chi va nei supermercati, per chi andrà nei musei, così le regole anche per chi dovrà stare in chiesa, mantenendo le dovute distanze, facendo le igienizzazioni, portando la mascherina». 

Ma nelle chiese, dove tra l’altro accede una popolazione con un’età elevata, è possibile rispettare regole anti Coronavirus? «Se dobbiamo stare alla distanza di un metro e non dobbiamo toccarci, allora abbiamo già tolto l’acqua santa ed è stato limitato il segno della pace. Fatto sta che nelle chiese dove ci sono ampi spazi e la partecipazione di 50 o 100 persone in una chiesa dove ce ne vanno 500, le distanze possono essere rispettate».

Questo però allora al Duomo o in poche chiese di una certa grandezza. «Ma noi diciamo non solo dentro le mura della chiesa, possiamo celebrare la messa anche all’interno del sagrato o negli spazi esterni. Perché questo non si può fare? Allora le chiese sono sempre state aperte, ma qui si tratta della celebrazione e i sacramenti, che sono importanti. I fedeli la stanno chiedendo, sono senza da mesi ed è un digiuno che per alcuni è diventato insopportabile. Ci auguriamo che ci sia questo dialogo fecondo tra istituzioni».

Ma lei personalmente come sta vivendo questa emergenza? «Io tutti i giorni apro la Curia e sto lì, in ascolto di tutte le persone che telefonano h24, sostenendo i sacerdoti, dando impulso alla dimensione spirituale e alla preghiera. Ogni giorno prego per tutti e poi c’è un momento importante: il tempo che dedico per la Caritas perché molte sono le urgenze e le emergenza. Abbiamo fatto una grande pianificazione in questo tempo perché nessuno si senta abbandonato. Stiamo servendo 400 famiglie, è triplicato il numero di chi si rivolge alla mensa del povero e questi segnali dobbiamo sostenerli con tutte le precauzioni dovute». 

Che cosa chiedono i fedeli in queste telefonate, che sentimenti le esprimono? «L’angoscia e la paura per questo Covid che è un disastro, ma dobbiamo capire che non è un castigo. Dobbiamo dare speranza, che non è ottimismo vuoto, ma appunto speranza fondata sulla consapevolezza di un momento difficile ma di fronte al quale, mettendo in atto tutti insieme generosità e amore vicendevole, possiamo andare avanti. Quindi non abbiate paura. In queste conversazioni vengono fuori anche cose molto belle perché molti chiamano per chiedere come possono rendersi utili. Chiedono: che cosa posso fare?».

E lei cosa risponde? «La prima cosa è lavorare per la serenità familiare perché la famiglia e le relazioni familiari sono importanti. E poi dico: “Se hai un parente o un amico o quella persona a cui vuoi bene falle una telefonata, se puoi dare un aiuto materiale dallo, se puoi fare un bonifico per aiutare la famiglia in difficoltà fallo”. Adesso è il momento di aiutare a 360 gradi, in modo materiale oltre che spirituale». 

Lei teme per un futuro più arido di sentimenti di umanità dopo un lungo periodo di distanza fisica ed emotiva tra le persone? «Dal mio punto di vista sarà al contrario più umano. Stiamo vivendo tutti così, ci fa ripensare il nostro vivere e riflettere su 2 valori: la vita e il tempo della vita, da riempire con l’amore. Quindi sarà una società che ripenserà i suoi stili di vita e ritroverà più umanità. Un nuovo umanesimo».

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