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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Un mese nell'inferno spagnolo, Andrea ha vinto la sua guerra: «Sembrava Chernobyl»

La storia del 37enne anconetano che vive a Barcellona e ha sconfitto il Covid: «Un giorno mi hanno detto: chiama a casa perché non sappiamo come finirà»

Ventisette giorni nell’inferno spagnolo, poi il lento ritorno alla vita. Ha temuto di non farcela, Andrea. E’ stata dura la battaglia contro il Coronavirus. Lui, da solo, contro il nemico dell’umanità, attaccato a un respiratore nell’ospedale Clinic di Barcellona. «Pensi sempre: a me non capita. E invece è successo» sospira il 37enne anconetano che vive in Catalogna e qui ha aperto un bar, il “Bianco & Nero”. Andrea Tavoloni è uno dei combattenti solitari che ce l’ha fatta: ha sconfitto il Covid e ora può gridarlo al mondo.

Come a Chernobyl

«Mi sono ammalato a fine marzo. E pensare che, consapevole di quel che stava succedendo in Italia, avevo chiuso il bar in anticipo, ben prima che il Governo spagnolo decidesse il lockdown, e mi ero messo in quarantena per evitare guai - racconta -. Per 5 giorni ho avuto febbre alta, ma non volevano ricoverarmi perché non avevo sintomi respiratori. Quando mi sono fatto visitare in un ambulatorio perché stavo sempre peggio, hanno visto qualcosa di strano nei polmoni e mi hanno portato in ambulanza all’ospedale con il sospetto del Coronavirus. Sospetto che poi il tampone ha confermato. Era il 26 marzo, il giorno dopo è stato il mio compleanno: l’ho trascorso in un reparto per Covid dell’Hospital Clinic. Gli infermieri entravano bardati, coperti da camici, mascherine, occhiali: mi sembrava di stare a Chernobyl. All’inizio non pareva grave la situazione. Ma quando una notte, alle 2, mi hanno spostato in dialisi, ho capito che qualcosa non andava perché io soffro di una patologia renale e immaginavo che sarei andato incontro a problemi». Lì è iniziato il calvario. Andrea è stato trasferito da un reparto all’altro, mentre le energie calavano, la febbre tornava ogni sera e il fiato era sempre più corto. «Avevo acqua in un polmone e un’infezione nell’altro: è incredibile come sia successo tutto in poco tempo. In certi giorni non avevo nemmeno la forza di prendere il cellulare, non riuscivo a parlare: alzarmi dal letto per andare in bagno era un’impresa».

Il ritorno alla vita

Se l’è vista brutta, Andrea. Soprattutto quando, di punto in bianco, i medici hanno disposto il trasferimento in terapia intensiva. «Mi hanno detto: “Ti portiamo in una stanza dove c’è una bombola d’ossigeno più grande”. Lì ho capito che le cose si stavano mettendo male. La conferma l’ho avuta da una dottoressa che parlava italiano. “Chiama i tuoi cari, fagli sapere come stai perché non sappiamo come finirà”, mi ha suggerito. Stavano per sottopormi a una terapia sperimentale e non sapevano come sarebbe andata perché poteva danneggiare il cuore. Sì, in quel momento ho pensato al peggio». Ma grazie al cielo la cura ha funzionato. «Ci è voluto un po’, ma con il passare dei giorni la situazione è molto migliorata. Mi hanno trasferito al Catalunya Plaza, un 5 stelle trasformato in albergo per Covid. E’ stato come tornare dall’inferno. Pian piano mi sono ripreso». Dopo una guerra durata 27 giorni, Andrea è di nuovo a casa. «E' stato tremendo dover combattere da solo, anche se mi arrivavano continui messaggi di affetto. Alla parrocchia di Pietralacroce i miei amici avevano organizzato anche dei gruppi di preghiera. L'ho sentito tutto quell'amore, mi ha aiutato a superarla. E adesso ho capito quanto è importante la vita e quanto è bello respirare, parlare, mangiare. Sì, alla fine ho vinto io». 

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