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Cronaca Corinaldo

«Il marito vedovo dava forza a noi, oggi molti di quei ragazzi studiano da soccorritori»

Marco Mazzanti, presidente del Comitato Croce Rossa di Senigallia, ricorda la notte della strage. Dalla chiamata alle scene strazianti della Lanterna Azzurra

Da quella notte ogni chiamata di soccorso è diversa. Ti infili la giacca, parti e non sei sicuro che troverai effettivamente quello che ti aspetti

La voce è ancora rotta dall’emozione, i ricordi sono scolpiti nella mente come se da quella notte fossero passati pochi minuti anziché un anno intero. Marco Mazzanti è il presidente del Comitato Croce Rossa di Senigallia e la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018 era tra i soccorritori intervenuti subito dopo la strage della Lanterna Azzurra. Ha visto le lenzuola a terra, ha consolato molti ragazzi spaventati e doloranti e ha incrociato lo sguardo con tante anime ferite. Distrutte, anzi, come quella del marito di Eleonora Girolimini, la mamma strappata alla vita insieme a cinque giovanissimi. Marco lo conosceva, tra Corinaldo e Senigallia in fondo è così: «Lui lavorava come giardiniere nel condominio dove vivevo, è stato commovente condividere con lui questo strazio. Era spaesato, confuso ma ricordo i continui ringraziamenti a tutti noi. Era lui che dava forza a noi e accettava qualunque forma di collaborazione». In quel caos di dolore e disperazione, riconoscersi a vicenda è stata una coltellata in più. Anche per lo stesso Marco che, seppur in Croce Rossa dal 1999, non aveva mai visto nulla del genere: «Tra quei ragazzi potevi trovare quelli che vanno a scuola con i tuoi figli» spiega il presidente, che è volontario sì ma anche papà. «Mio figlio più grande frequentava quella discoteca e quella sera poteva essere lì, è anche normale immedesimarsi». Ma se è vero che da una tragedia può nascere il bene, gli ultimi corsi di reclutamento per volontari ne sono la prova: «Tra gli aspiranti volontari della Croce Rossa ci sono molti ragazzi che quella sera erano in discoteca- spiega il presidente del comitato- la brutta esperienza che hanno vissuto o l’aver visto il lavoro dei soccorritori li hanno spinti forse a capire come evitare il ripetersi di quelle situazioni e si stanno iscrivendo, da noi ma anche presso altre associazioni». 

La notte maledetta

Il nastro di Marco si riavvolge, si torna alla notte tra il 7 e l'8 dicembre 2008: «Quando arrivò la chiamata dalla centrale del 118 ci siamo adoperati subito. Ero fuori servizio ma visto che sono il presidente del comitato i ragazzi mi chiamano sempre pre le autorizzazioni. Visto che vivo nelle vicinanze ho infilato la giacca e sono andato sul posto per comprendere meglio la situazione e coordinare mezzi e personale». Quella telefonata sintetica non era sufficiente a capire subito il quadro della situazione: «La centrale disse semplicemente di andare in supporto perché era successo qualcosa alla Lanterna Azzurra. Una volta arrivato nel piazzale sono rimasto impietrito, fermo nel vedere quei teli bianchi a terra che coprivano i corpi». I sanitari erano già intervenuti ma non avevano potuto far nulla per strappare le cinque vittime alla morte. «Ho fatto spostare tutte le nostre ambulanze e pulmini e abbiamo fatto intervenire il personale per l’assistenza psicologica. Nel frattempo era arrivato anche il nostro referente regionale».

La ragazzina accasciata

Una delle prime fotografie nella mente di Marco è la ragazzina accasciata accanto a una salma coperta dal lenzuolo. «Era dolorante alle gambe, chiedeva aiuto, cercavo di tranquillizzarla insieme ai vigili del fuoco ma lei era molto agitata. Pensava che anche la sua situazione fosse compromessa, le dicevo di stare tranquilla perché sarebbe stata portata in ospedale». Intorno c'erano morte e lamenti, la disperazione dei genitori e i ragazzi sopravvissuti che mamme e papà portavano via con il passare delle ore. «I sanitari perlopiù erano intervenuti per traumi da schiacciamento, ma alcuni ragazzi parlavano già di un odore cattivo di peperoncino e bruciore agli occhi. Quello strazio non lo dimenticherò mai» conclude Marco, che di responsabilità non può e non vuole parlare, ma è consapevole che quella notte ha cambiato anche il suo lavoro da soccorritore: «Tutti abbiamo dato il massimo, anche i volontari di altre associazioni. Cosa mi porto dietro? Ho capito quanto sia importante promuovere un approccio preventivo alla gestione delle emergenze anche per gli stessi cittadini. Intendo quelle piccole precauzioni per rendere già in partenza le situazioni meno critiche possibile». Lezioni, ma anche fantasmi: «Da quella notte ogni chiamata di soccorso è diversa. Ti infili la giacca, parti e non sei sicuro che troverai effettivamente quello che ti aspetti». Proprio come quella notte maledetta di 12 mesi fa.

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