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Ancona malgrado la Storia

Ancona malgrado la Storia

A cura di Davide Toccaceli

Filippo Zappata, l'anconetano del "cantiere" che faceva volare le navi

uno dei migliori ingegneri aeronautici d'Italia, specializzato proprio nella realizzazione di idrovolanti a più motori, nacque ad Ancona nel 1894 e disegnò aerei di prestazioni eccezionali e fama mondiale

Nei giorni scorsi abbiamo letto dell'inaugurazione del volo che da Ancona consente di atterrare in varie località della costa croata, che sta qui, di fronte. Il volo parte dall'aereoporto per terminare con una suggestiva planata sul mare, grazie all'impiego di un idrovolante, un velivolo in grado galleggiare e di trasformare uno specchio d'acqua in una comoda pista di atterraggio.Tuttavia non si tratta di un'inaugurazione, ma del ripristino di un collegamento storico, che 70 anni fa univa Ancona a quella che era la  provincia di Zara (ZA). Infatti , fra il 1923 e il 1943, l'Italia non terminava a capofitto nell'Adriatico sotto al Duomo, ma incorporava anche questo piccolo lembo di terra, la più piccola provincia d'Italia con capoluogo Zara. Con regolarità, un idrovolante consentiva di giungere rapidamente al territorio d'oltremare, sfruttando l'infinita spianata del mare come campo di volo. Perchè utilizzare un aereo che decollava ed atterrava sulla superficie dell'acqua? Proprio perchè si poteva sfruttare una pianura sterminata, con corse di decollo ed atterraggio senza fine, un'enorme campo di decollo per infinite ricorse, in grado di permettere anche agli aerei più grandi e pesanti di librarsi senza problemi. Forse però, 70 anni fa, non ci si fidava ancora in pieno delle caratteristiche di affidabilità di un'innovazione tecnologica – l'aeroplano - giovanissima, appena trentenne, ed in caso di guasto ai motori, sul mare, avere un aereo galleggiante contribuiva forse ad alzare il morale dei passeggeri. Sta di fatto che tutte le principali città del mondo che disponessero di uno specchio d'acqua contiguo, salato o d'acqua dolce, allestivano un idroscalo. Eisteva anche ad Ancona nella zona del molo Sud, antistante il Lazzaretto (idroscalo “Sanzio Andreoli”, allestito nel 1923). Sarà un caso, sarà l'ispirazione che giunge dal mare come per ogni vero anconitano, ma uno dei migliori ingegneri aeronautici d'Italia, specializzato proprio nella realizzazione di idrovolanti a più motori, nacque ad Ancona nel 1894. Filippo Zappata disegnò aerei di prestazioni eccezionali e fama mondiale. La sfortuna volle che il periodo più proficuo della sua carriera di progettista fosse solcato dagli anni tragici della Seconda Guerra Mondiale, sta di fatto che dai suoi disegni scaturirono velivoli di assoluta importanza, fra cui uno dei principali bombardieri della Regia Aeronautica, il trimotore Cant Z1007. Avrete notato la strana sigla che identifica il progetto, ma l'ingegner Zappata, come si richiede ad un bravo anconitano, svolse buona parte della sua carriera lavorando “al Cantiere” i cui stabilimenti erano denominati “Cantieri Riuniti Dell'Adriatico”: all'inizio degli anni 30 divenne direttore tecnico della sezione aeronautica di quell'industria pesante, dopo aver studiato a Genova ed aver lavorato in Francia presso la fabbrica aeronautica “Bleriot”. Il primo progetto di Zappata per i Cantieri Riuniti era rappresentato da un idrovolante “a scafo centrale”, Cant Z501 Gabbiano, con l'intera fusoliera che fungeva da scafo adatto anche a galleggiare e a prendere il mare in condizioni agitate. Notevole la scelta, in un epoca dove l'ala biplana era collaudata e maggioritaria, di scegliere una moderna ala monoplana. L'Ingegnere fu sempre il primo a testare direttamente i suoi aerei e con il pilota Mario Stoppani, collaudatore capo dei “Cantieri Riuniti Dell'Adriatico, l'aereo volò nel 1934 conquistando record a ripetizione sulle lunghe distanze, con voli da Monfalcone all'Eritrea e alla Somalia fino a sfiorare i 5000 km di distanza (esattamente 4957 km, 16 luglio 1935). L'aereo dimostrò ottima affidabilità: continuò a soccorrere gli aviatori italiani che si paracadutavano in mare per tutto l'arco del conflitto guadagnandosi il soprannome di “Mammaiut”, un po' perchè lento rispetto ai nemici, un po' perchè spesso costituiva l'unica speranza dei dispersi in mare. Negli anni a seguire Zappata fece di meglio e progettò quello che divenne uno dei migliori aerei da soccorso in mare, il Cant Z506 Airone. Con 3 motori, ala monoplana e due galleggianti “a scarponi” (cioè paralleli sotto la fusoliera), al velivolo dell'ingegnere anconitano devono la vita non solo i piloti italiani  dispersi in mare, ma anche quelli nemici, grazie ai recuperi avventurosi effettuati dall'efficacissimo velivolo, detentore di 16 primati di quota, carico e autonomia. L'aereo era in grado di  ammarare col mare in tempesta in condizioni atmosferiche proibitive, fino a “forza 5”. L'ultimo esemplare fu ritirato dal servizio 15 anni dopo la fine della guerra, nel 1960, sostituito dagli elicotteri che ormai avevano raggiunto un sufficiente grado di affidabilità. Dipinto in argento, l'ultimo esemplare è ora perfettamente conservato presso il Museo dell'Aeronautica di Vigna di Valle, Roma.

BOMBARDARE NEW YORK CON LE ARANCE. Poco prima della guerra, a partire dal 1937, l'ingegnere si cimentò in una delle imprese aeronautiche più ardite dell'epoca: la costruzione di un aereo in grado di svolgere regolari voli transatlantici. Filippo Zappata disegnò un elegante ed imponente monoplano quadrimotore, con due galleggianti, realizzato interamente in lega leggera, in grado di svolgere il compito alla perfezione. Il Ministero concesse un finanziamento di 7.650.000 lire per realizzare il prototipo che Mario Stoppani in compagnia di Zappata portò in volo a Monfalcone nell'ottobre 1940, a guerra iniziata. L'aereo, denominato Cant Z511 (dove “Z” sta per Zappata) non diede particolari problemi ma l'inizio delle operazioni militari in Yugoslavia consigliò lo spostamento del prezioso esemplare sul lago di Bracciano, presso l'idroscalo di Vigna di Valle, lontano dai rischi di sabotaggio o di danni inflitti dal nemico. Era sconsigliato, in tempo di guerra, utilizzare il maestoso idrovolante per un impiego civile, ma se ne escogitò uno militare. Visto che l'aereo era in grado di attraversare l'atlantico senza problemi particolari, con 4 uomini di equipaggio, da 16 a 48 passeggeri oppure un carico di 4000 kg, si pensò di utilizzarlo per l'azione bellica che ogni  principale forza armata dell'Asse, l'alleanza fra Germania, Italia e Giappone, sognava di realizzare: colpire il territorio del nemico più lontano e potente, gli Stati Uniti d'America. Effettivamente i Giapponesi ci riuscirono, colpendo le Hawai con aerei decollati da portaerei. I tedeschi misero a punto enormi bombardieri a 6 motori e studiarono versioni intercontinentali dei missili V2. Noi puntammo sull'idrovolante transatlantico dell'Ingegner Zappata. Allo Stato Maggiore Fascista non mancò la fantasia coreografica  nel progettare un ardito raid sulla baia di New York. Dapprima l'idea era semplicemente quella di caricare l'aereo di bombe, ma di fronte alle difficoltà tecniche di trasportarne contemporaneamente un carico adeguato oltre all'enorme quantitativo di carburante necessario, si pensò ad un'azione solamente dimostrativa. Si ripiegò su dei volantini propagandistici, come per il dannunziano volo su Vienna della precedente guerra mondiale, ma qualcuno suggerì un “beffardo” lancio di arance, ognuna munita di un singolo piccolo paracadute. Ma nella carneficina della Seconda Guerra Mondiale una simile missione avrebbe significato solo mettere a rischio la vita dell'equipaggio. Si progettò quindi qualcosa di almeno efficace, simile ad altre azioni arditissime messe a segno dagli incursori italiani nei porti mediterranei controllati dagli Inglesi. L'aereo, decollando da Bordeaux in Francia che costituiva la base più occidentale delle forze dell'Asse, avrebbe dovuto  trasportare un gruppo di sabotatori con i famosi “Maiali”, i siluri pilotati con testata esplosiva magnetica, da ancorare allo scafo delle navi nemiche ormeggiate sul fiume Hudson. Il rientro prevedeva un rifornimento in mare per mezzo di un sommergibile. L'inventiva degli Stati Maggiori italiani si dimostrò sterminata, senza riguardo per le difficoltà tecniche e i rischi che avrebbe corso il personale: per l'eccezionale aereo erano previste missioni di recupero di funzionari italiani bloccati in Arabia Saudita, sorvolando migliaia di chilometri di spazio aereo controllato dal nemico. Si tornò a pensare, in pieno 1942 e con la guerra che imperversava, a un servizio di linea con l'Argentina per Buenos Aires, con scalo per il rifornimento a 7000/8000 km dalla base di partenza, in qualche baia dell'Africa o del Sud America magari controllata da uno stato neutrale, come il Portogallo. Nulla fu poi realizzato, poiché nel settembre del 1943 intervenne l'armistizio. Per evitare che l'aeroplano cadesse in mano ai tedeschi gli addetti di Vigna di Valle forarono i galleggianti del velivolo, che affondo praticamente intatto nel lago di Bracciano. Sfortunatamente, durante l'avanzata degli Alleati nel 1944, una zattera che trasportava carri armati sul lago si incagliò su una delle eliche affioranti dell'aereo. L'equipaggio, per evitare l'affondamento, decise di alleggerire l'imbarcazione e mollò uno dei carri armati Sherman in fondo al lago, danneggiando irreparabilmente il bel velivolo.

SESTO SAN GIOVANNI 1946: CONTRO LE DISTRUZIONI DELLA GUERRA E CONTRO I GIGANTI CHE L'AVEVANO VINTA. La sezione aeronautica dei Cantieri Riuniti di Monfalcone cessò l'attività dopo i bombardamenti del tempo di guerra. Il geniale Ingegner Zappata fu immediatamente cooptato dalla Breda di Sesto San Giovanni, Milano: la grande industria lombarda voleva rilanciare l'attività della propria sezione aeronautica con un progetto assai ambizioso, denominato BZ308 (Breda Zappata 308). La fine della Guerra Mondiale apriva nuovi scenari alle costruzioni aeronautiche. L'aeroplano era un prodotto tecnologico maturo ed affidabile e si apriva il mercato per stabili rotte transatlantiche.  Zappata ebbe l'incarico di produrre una grande aereo di linea ad alte prestazioni, in concorrenza con i prodotti americani Boeng, Lockheed e Douglas. Progettò nuovamente un grande quadrimotore stavolta terrestre, con carrelli convenzionali. L'aspetto era elegante ed imponente e l'impresa divenne motivo di orgoglio popolare. Infatti, nel 1946, si prospettava anche la chiusura delle grandi officine aeronautiche Breda, di Sesto S. Giovanni, ma la volontà di riscatto delle maestranze che volevano salvare il posto di lavoro fece miracoli: in un lampo furono ripristinate le officine distrutte dalla guerra, gli operai decisero di lavorare senza retribuzione e, quando venne realizzata la stupefacente fusoliera del velivolo, fu fatta sfilare dagli operai per le vie di Sesto San Giovanni per essere portata all'aeroporto di Bresso. Il prototipo dell'aereo fu completato nel tempo record di un anno, ma gli americani temevano fortemente la concorrenza del velivolo italiano. La Commissione di Controllo Alleata vigilava a quel tempo sul rispetto delle condizioni di resa imposte all'Italia sconfitta, in particolare sulla produzione aeronautica. Essa concesse l'autorizzazione per acquisire i motori di produzione straniera, che servivano per completare il prototipo, solo nel 1948, quando ormai il mercato era completamente in mano alle  grandi industrie inglesi ed americane. La stessa Commissione negò definitivamente l'autorizzazione all'Aeronautica Militare che voleva ordinarne alcuni esemplari come aerei da trasporto. L'aereo, di per sé, era perfetto e, come al solito, fu portato in volo dal collaudatore Stoppani accompagnato da Zappata. L'unico prototipo costruito fu acquisito dall'Aeronautica che lo impiegò per alcuni anni sulla rotta Roma – Mogadiscio, dove ingloriosamente andò perduto. L'aereo urtò una betoniera parcheggiata sulla pista di rullaggio e fu considerato antieconomico procedere alle riparazioni. Abbandonato a Mogadiscio, si narra che i rottami fossero ancora presenti  ai margini della pista sino ad una decina di anni fa.

NATO AD ANCONA IL 6 LUGLIO DEL 1894,  SCOMPARSO A GALLARATE IL 30 AGOSTO 1994. Filippo Zappata continuò la sua carriera di progettista lavorando per l'Agusta nel campo della progettazione e costruzione di elicotteri che ormai avevano preso il posto, nel servizio di soccorso in mare,  delle “navi volanti” che aveva progettato per tanti anni. Si ritirò negli anni '60 ed è venuto a mancare nel 1994, all'età di 100 anni e, per quanto mi risulta, dovrebbe aver trovato riposo nel cimitero di Tavernelle. Purtroppo un rapido giro non mi ha permesso di ritrovarne la sepoltura, che mi aspettavo fosse collocata nell'area monumentale della zona d'ingresso... Purtroppo il triste destino dell'ingegnere è quello di essere completamente ignorato nella città che gli ha dato i natali ma, credetemi, basta una rapida ricerca su Google per rendersi conto di quanto sia famoso nell'ambiente aeronautico, in Italia e all'estero. Visto che in città c'è un'Università Politecnica, sarebbe bello che fosse dedicata almeno una targa in ricordo del geniale ingegnere.

Davide Toccaceli

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