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Ancona bombardata e i massacri nel mondo: la mostra di Curzi conquista i giovani

Una esposizione fotografica per raccontare i massacri più vicini ai giorni nostri. Perfino contemporanei

ANCONA - Le fotografie del Borghetto distrutto dai bombardamenti del 1943 accanto alle 15 scattate in giro per il mondo dal giornalista e scrittore Pierfrancesco Curzi. Obettivo; raccontare le guerre, le persecuzioni e i genocidi più vicini ai giorni nostri. La mostra è ospitata in un luogo simbolo, uno dei vagoni fermi al binario 1 ovest per rievocare le deportazioni del regime nazifascista. Le foto (quelle non scattate da Curzi sono state selezionate da vari autori da Mario Carassai) raccontano le persecuzioni di Bosnia, Ruanda, Libia non solo. L’esposizione fa parte della settimana che culminerà con la giornata della memoria del prossimo 27 gennaio. 

Curzi in persona ha documentato sul posto le condizioni di uomini privati di ogni dignità come quelli dei detenuti nel campo di Trik Al-Sikka in Libia: «E’ stata la cosa più scioccante che ho visto, là vengono portati gli immigrati che vengono arrestati in Libia» ha detto Curzi, che poi ha indicato una foto esplicativa: «Questo è un capannone con 2000 stipati senza letto, senza potersi lavare e con un pasto al giorno non si sa neppure fatto di cosa». Il messaggio è chiaro: «Negi anni ’40 del secolo scorso c’è stato un conflitto sanguinoso che avrebbe dovuto insegnare il “mai più” alle generazioni successive, ma già mezzo secolo dopo in Bosnia e Ruanda si sonon verificati genocidi caratterizzati anche per la loro efferatezza». Il Ruanda, ma anche le primavere arabe, i musulmani trucidati a Srebrenica o il conflitto nordirlandese terminato solo nel 1998: «Ci sono sempre questioni religiose dietro a questi episodi- conclude Curzi- la cosa che spero è che i ragazzi, leggendo una parola come “Ruanda”, si chiadano cosa vuol dire e inizino a informarsi e rifelttere. Oggi sono bombardati dalle informazioni dei cellulari. Io voglio raccontare loro quello che succede oggi e dire loro che non si può tornare a queste cose». 
 

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