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Lunedì, 29 Aprile 2024
Attualità Senigallia

Quarant'anni di "Madonnina" e di successi, Moreno Cedroni si racconta: «Amo ancora essere chef e sognare»

In occasione dell'anniversario del suo primo ristorante, il pluridecorato cuoco senigalliese si racconta a CiboToday in una lunga intervista, nella quale ripercorre le tappe della sua straordinaria carriera, dagli inizi fino alle stelle Michelin

SENIGALLIA – Tra gli chef che più hanno rivoluzionato la cucina italiana, soprattutto quella di mare, c’è Moreno Cedroni. Eclettico cuoco marchigiano, nato e cresciuto a Senigallia in provincia di Ancona, dove ha mosso i primi passi nel mondo della ristorazione. Creando anno dopo anno un vero impero che oggi conta ben tre ristoranti, un laboratorio di sperimentazione, un progetto di Orto Marino sul lungomare e vari libri pubblicati. CiboToday lo ha intervistato in occasione di un anniversario importante: i primi 40 anni dalla nascita della Madonnina del Pescatore, il suo ristorante due stelle Michelin, punto di partenza della sua lunga e fortunata carriera. Dai ricordi familiari, i piatti più iconici, la nascita del Clandestino sul Conero e Anikò in piazza a Senigallia, passando per il rapporto con i colleghi come Ferran Adrià, Mauro Uliassi e il suo ormai braccio destro e sous chef Luca Abbadir. Moreno Cedroni ci racconta in punta di piedi anche la sua vita privata, il rapporto con la moglie e inseparabile collega Mariella Organi, in una panoramica intima e sentita di questo lungo viaggio che dura da 40 anni.

Tre ristoranti, un laboratorio di sperimentazione, vari libri pubblicati. Come è cambiato lo chef Cedroni in questi 40 anni?
«40 di Madonnina del Pescatore le fondamenta della mia vita e della mia carriera, 24 anni di Clandestino Susci Bar un luogo unico al mondo che ogni anno interpreta racconti, 20 anni di Anikò nata come prima salumeria ittica al mondo e divenuto un chiosco da pret a manager dove l’alta cucina è alla portata di tutti, l’officina Cedroni e l’immortalità del cibo. In 40 anni sono la summa di tutti i miei errori e dei miei successi, dove non ho mai smesso di sognare e di amare il mio lavoro di cuoco. Sono sempre Moreno Cedroni, ora con una maturità acquisita e conquistata nel corso di questi anni e sempre con la stessa voglia di avvicinarmi all'orizzonte».

Partiamo dalle origini. Qual è la cucina con cui è nato e quali i suoi ricordi gastronomici?
«Le mie origini, come posso dire quelle di tutta Italia, sono dettate dalla cucina di casa della nonna e della mamma».

Erano brave cuoche?
«Erano due super cuoche».

Che facevano?
«Con poco realizzavano piatti incredibilmente buoni, davanti casa raccoglievamo i frutti del mare e la vegetazione che cresceva spontanea sulla spiaggia. A casa avevamo l’orto e gli animali da cortile».

C'era già il chilometro zero...
«Ci sono nato nel chilometro zero, ma senza saperlo».

Quanto l’hanno influenzata questi ricordi?
«Ho ancora un piccolo segno nella mano, una cicatrice di un taglio mentre aiutavo mia nonna a fare le tagliatelle, che io chiamo “cicatrice sentimentale”. I profumi di quei sughetti di quelle zuppe sono rimasti nella mia mente e da sempre mi guidano nella cucina di mare».

Questo l’ha spinta subito a fare il cuoco?
«In realtà il mio destino era il mare. Ho frequentato l’istituto nautico, mentre in estate per guadagnare qualche soldo per le vacanze estive facevo il cameriere».

E poi?
«Poi nel 1984, avevo 20 anni ed era appena finita la scuola, vicino casa si vendeva un ristorante. Parliamo di quello che sarebbe diventato la Madonnina del Pescatore, e con molta incoscienza e indirizzato dalla passione scelsi la “rotta” dell’accoglienza».

Lo comprò? A 20 anni?
«Tecnicamente prima lo presi in affitto e iniziai prima in sala, anche se poco dopo il richiamo della cucina fu così forte che mi cimentai anche ai fornelli. Ho acquistato il ristorante nel 1993».

Ha studiato tanto in quei primi anni?
«Nei primi anni di apertura facevo i mercati del pesce, i corsi AIS, studiavo come un matto per imparare tutto e subito e nel 1990 decisi di entrare in cucina. Nemmeno misi la giacca perché sapevo ancora di non meritarla e giorno dopo giorno vedevo che la cucina mi piaceva, era totalizzante».

La grande evoluzione quando arrivò?
«Nel 1999».

Cosa successe?
«Ebbi la fortuna di fare un corso al ristorante El Bulli di Ferran Adrià a Roses in Costa Brava, e la mia visione di cucina iniziò a cambiare, lenti ma profondi cambiamenti che mi hanno portato fino qui».

Quindi Ferran Adrià si può considerare responsabile del suo percorso come cuoco.
«Quando conobbi Ferran Adrià e il suo pensiero ho cambiato subito approccio mentale alla cucina. Lui lasciava tutti senza fiato, era avanguardia pura. Devo probabilmente a lui la curiosità in cucina, come l’avermi sbloccato dalla supremazia delle ricette francesi, inoltre devo a lui l’umiltà che mi contraddistingue».

La Madonnina del Pescatore è la sua creatura più longeva. Aperto nel 1984, prima stella nel ‘96 e la seconda nel 2006: lei ha portato sperimentazione e innovazione nella cucina di pesce grazie a questo locale. Come ci è riuscito e da cosa è partito?
«L’ingrediente della mia vita è la curiosità, questo mi ha portato a guardare cosa facevano gli altri, a chiedermi cosa potevo fare e cosa era nelle mie corde, a osare. Tutto questo è sorretto da studio e tantissimo lavoro. L’innovazione è data dalla mia visione e dagli strumenti messi a supporto della cucina, molte volte anche l’incoscienza mi ha fatto raggiungere tappe inaspettate. Ho sempre rischiato, non mi sono mai tirato indietro e non ho mai seguito le mode, anzi alcune sono nate con me».

Come ad esempio il famoso 'susci' all’italiana. Come è nato?
«Questa idea è nata perché ero stanco di mangiare negli Anni ‘90 il pesce crudo con limone e rucola, oppure con soia, wasabi, zenzero candito e alga nori. Il “susci” è forma ed evoluzione del mio pensiero che ogni anno racconta storie incredibili, colorate, favole, miti, tendenze e cultura del mondo. Quest’anno racconteremo storie di donne che hanno contribuito a migliorare il mondo con il menu Susci Rosa al Clandestino».

Stesso discorso per le lattine con le conserve di pesce…
«L’immortalità dei metodi di conservazione del cibo, come le conserve e i sughi, sono stati sempre il mio pallino. Tutto questo lavoro è nato guardando con curiosità le scatolette negli scaffali del supermercato, pensando a come si potesse fare per far durare nel tempo un certo alimento. Volevo inoltre portare nelle case la migliore materia prima unita all’alta cucina, e da qui che sono partito sperimentando e studiando. Grazie a molti viaggi a Parma alla Stazione Sperimentale per le l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA) ci sono poi riuscito».

E proprio alla Madonnina ha conosciuto sua moglie, Mariella Organi. Come è evoluto il rapporto con lei in questi anni?
«Con Mariella c’è una comunione di intenti da sempre, entrambi abbiamo sacrificato tantissimo la famiglia per il nostro lavoro. Il nostro rapporto si basa e si evolve sulla stima reciproca. I nostri locali sono per noi come dei figli».

Però poi c'è Matilde, che è vostra figlia per davvero...
«Già, e a volte penso che a Matilde potevo dare di più in termini di attenzioni, tempo e consigli».

E con i suoi sous chef?
«Con i sous chef il rapporto è stato alla ricerca di un costante equilibrio. Luca Abbadir, Executive Chef della Madonnina, è al mio fianco da 16 anni ed è diventato parte integrante della nostra creatività e della nostra crescita».

Andiamo avanti coi locali: c'è il Clandestino e infine Anikò. Qual è il filo rosso che lega le insegne?
«Il fil rouge è la facilità di approccio all’alta gastronomia declinata in luoghi con un impianto di cucina minore. Al Clandestino i nuovi menu comunque nascono dalla creatività che facciamo alla Madonnina, ed il luogo è talmente affascinante che la gente si approccia a un tema o a un piatto con più disinvoltura. Da Anikò, il chiosco di Senigallia in Piazza Saffi, dove si vede e si è visti, nato come salumeria di pesce che negli ultimi anni ho portato anche alla Madonnina. Questo locale interpreta lo spirito di uno street food ben fatto».

Quindi si può dire un sistema che si auto alimenta, quasi circolare. Da cosa parte e da cosa si lascia ispirare quando crea un nuovo piatto?
«Viaggiare per il mondo è cibo per la mia mente e per la mia creatività. Ogni anno, nel mese di gennaio, con Luca Abbadir e con il gruppo di persone più vicino a noi con Kim, Francesco e Alessandro, dedichiamo un mese alla creatività. Un lusso che ci permettiamo negli ultimi anni, perché siamo chiusi al pubblico e possiamo pensare e creare. Il processo creativo inizia con un progetto, uno studio degli ingredienti e poi parte la sperimentazione in cucina dove tutto può accadere. Anche quest’anno siamo molto contenti di quello che è accaduto». 


Che è accaduto?
«Ogni anno alla Madonnina e al Clandestino creiamo un nuovo menu realizzato da me e Luca con un tema diverso. Quest’anno alla Madonnina del Pescatore ci sarà il viaggio di Marco Polo: un personaggio che come me ha iniziato un percorso lungo per trovare sé stesso. Mentre i piatti storici e i più significativi realizzati negli anni finiscono nel menu Ricordi d’infanzia & Mariella. Al Clandestino invece il menu si intitola Susci Rosa, omaggio alle donne che hanno cambiato il nostro tempo».

Che sono i menu per festeggiare questi 40 anni…
«Esatto. Marco Polo viaggiò lungo la Via della Seta, esplorando terre sconosciute e culture diverse che lo trasformarono profondamente, aprendo la mente a nuove tradizioni culinarie e culturali. Il viaggio è un'esperienza di crescita personale e conoscenza senza pari».

E lei si paragona a lui?
«Così come successe a Marco Polo, anche i miei lunghi viaggi sono stati intrapresi alla scoperta di culture e sapori unici, trasformando la mia curiosità in un'esperienza culinaria straordinaria che da Venezia si estende fino alla Cina, passando per Trebisonda, Bagdad, Aleppo, Teheran, Balck, Samarcanda, Kashgar, Pechino, Xanadu e Pagan. Troverete dalle moeche veneziane al piccione alla pechinese, terminando con un tripudio di dolci freschi e originali ideati da Luca».

E sul tema del ricordo c’è il menu Ricordi di Infanzia & Mariella
«Un menu che narra le mie esperienze in 40 anni di apertura de la Madonnina del Pescatore, le mie riflessioni, gli errori commessi, i successi raggiunti, i viaggi intrapresi e i sogni coltivati, non ultimo l’Orto Marino, con le creazioni iconiche che hanno segnato questo lungo percorso. I piatti saranno presentati con dettagliate descrizioni e aneddoti legati a ciascuna ricetta. Ho così tanti piatti da raccontare che ogni mese ne verranno proposti di nuovi per celebrare al meglio questi 40 anni di creatività culinaria».

A proposito di Orto Marino, un progetto paesaggistico che lega paesaggio marino e cucina. Di cosa si tratta?
«L’orto marino è un progetto a servizio della comunità e donato alla comunità. Abbiamo ricreato quello che era il lungomare negli Anni ’60, un luogo imperante di biodiversità marina. Qui coltiviamo moltissime erbe spontanee e aromi che utilizziamo in cucina. Un progetto bellissimo dove la gente si ferma a guardare il mare inebriandosi di profumo. Mi ricorda molto la mia nonna che in questi luoghi raccoglieva sempre le erbe amare, i “grugni" che poi ci cucinava».

E invece come nasce l'esigenza di aprire The Tunnel, laboratorio di ricerca e sviluppo. Ce lo racconta?
«Il tunnel apre nel 2018 e nasce dal volere mettere al servizio della cucina, del nutrimento e del gusto la ricerca in campo alimentare, con attrezzature all’avanguardia. Questo perché siamo consapevoli che la ricerca è uno dei punti forza del futuro. Con la nascita del tunnel siamo ancora più innovativi, perché si sperimenta e si certifica la sperimentazione grazie a un tecnologo alimentare che lavora con noi. Ci stimoliamo a vicenda, e anche l’esperienza del cliente ne trae vantaggio in quanto può visitare questo nostro laboratorio».

Le Marche e Senigallia. Che evoluzione in 40 anni?
«Le Marche sono vocate all’accoglienza, il livello delle proposte e medio alto ovunque oggi. Io e tanti altri colleghi con costanza abbiamo reso Senigallia un Luna Park gastronomico, infatti vorrei ricordare che 40 anni fa non era cosi. Il lavoro di qualità svolto da me e Mauro Uliassi ha portato tutti i nostri colleghi a voler intraprendere la strada dell’eccellenza».

Ecco appunto, parliamo del suo rapporto con Uliassi.
«Io e Mauro ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme “lungo la stessa spiaggia”. Ho molta stima di Mauro e questo è reciproco, concorriamo ognuno al successo dell’altro. Inoltre siamo consapevoli di essere stati il volano del successo dal punto di vista gastronomico della nostra regione e ne siamo felici».

In questi anni si sono susseguite tantissime definizioni per lei: illuminato, avanguardista, ludico. Le sente sue?
«Me le posso intestare tutte e tre? Il legame tra questi concetti può essere visto nel modo in cui l'innovazione avanguardistica spesso richiede un pensiero illuminato, una profonda comprensione di principi o idee che si spingono oltre i limiti esistenti. Allo stesso tempo, l'elemento ludico può agire come catalizzatore per l'innovazione e l'illuminazione, fornendo un terreno fertile per l'esplorazione creativa e la sperimentazione senza paura del fallimento. Insieme, questi elementi possono guidare il progresso in molti campi, promuovendo un approccio che valorizza sia la serietà dell'innovazione che la leggerezza e l'apertura del gioco».

Cosa direbbe allo chef Cedroni di 40 anni fa?
«Al Cedroni di 40 anni fa direi hai fatto la scelta giusta, che la creatività richiede tempo e non fretta. Al Cedroni di 40 anni fa direi che patirai un sacco perché potrai non essere sempre compreso. Ma soprattutto gli ricorderei i più belli».

E quali sono stati?
«Il momento più bello sicuramente è stato la seconda stella perché avevo più consapevolezza rispetto alla prima. Poi quei giorni e quelle settimane in cui creo. Sono energia pura».

Invece tra altri 40 anni come pensa che sarà il ristorante e la ristorazione del futuro? In che direzione si andrà?
«Il ristorante del futuro sarà ancora più esperenziale, attraverso la crasi con altre forme d’arte. Un vero è proprio teatro».

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